Licenziato il dipendente parzialmente idoneo che però fa l’istruttore sportivo
- 10 Novembre 2025
- Pubblicazioni
Legittimo il licenziamento del dipendente che, pur gravato da limitazioni mediche per l’adempimento delle sue mansioni, svolge in modo sistematico attività extralavorative fisicamente incompatibili con quelle prescrizioni. Così ha stabilito la Corte di cassazione con la sentenza 28367/2025, pubblicata il 27 ottobre. La vicenda riguarda un lavoratore addetto alla linea di produzione, dichiarato idoneo con riserva alla mansione, con il divieto di movimentare carichi oltre l’altezza della spalla e superiori a diciotto chilogrammi. Parallelamente, il dipendente ha svolto attività come istruttore sportivo, pubblicando sui social video che lo ritraevano mentre eseguiva esercizi e sollevamenti ben oltre i limiti medici prescritti. L’azienda gli ha contestato formalmente tali condotte e ha irrogato il licenziamento disciplinare per giusta causa. In primo grado, il Tribunale ha ritenuto provati i fatti e legittimo il recesso. La Corte d’appello ha confermato la decisione, precisando che la prova non derivava dal report di un’agenzia investigativa incaricata, ma, in base all’articolo 115 del Codice di procedura civile, dalla mancata contestazione da parte del lavoratore circa lo svolgimento delle attività oggetto di addebito. Inoltre, i giudici hanno valorizzato la diffusione pubblica dei video sui social, riconducibili allo stesso dipendente. Sulla base della consulenza tecnica d’ufficio, l’attività è stata qualificata come non episodica e potenzialmente idonea ad aggravare le patologie già note, concludendo per la proporzionalità della sanzione espulsiva e l’impossibilità di adottare misure conservative. In Cassazione il lavoratore ha articolato quattro motivi di ricorso. I primi due lamentavano, da un lato, l’illegittimo utilizzo di dati personali raccolti in modo “occulto” e, dall’altro, la tardività dell’eccezione di inutilizzabilità. La Corte ha respinto entrambe le censure: la decisione dei giudici di merito – secondo la sentenza – non si fonda sulle indagini investigative, ma sulla condotta processuale del ricorrente, che non ha mai contestato i fatti. I richiami al materiale d’indagine, dunque, sono stati considerati argomenti accessori. Sul piano sostanziale, la Cassazione ha riaffermato un principio consolidato (seppure applicato in maniera non sempre coerente): l’obbligo di fedeltà del lavoratore, integrato dai doveri di correttezza e buona fede (articoli 2105, 1175 e 1375 del Codice civile), si estende ai comportamenti extralavorativi. È disciplinarmente rilevante l’attività incompatibile con le proprie condizioni fisiche, se incide sull’esigibilità della prestazione o mette a rischio la fiducia del datore di lavoro, anche in assenza di un danno concreto. Il giudizio di proporzionalità, quando adeguatamente motivato, rientra nel merito e non può essere riesaminato in sede di legittimità. L’ultimo motivo di ricorso, volto a sostenere che la condotta rientrasse tra le infrazioni sanzionabili con misura conservativa secondo il contratto collettivo, è stato dichiarato inammissibile per difetto di specificità, non essendo state riportate le clausole richiamate, né indicata la loro esatta collocazione nel fascicolo. La sentenza, nel suo complesso, conferma che le limitazioni mediche non sono un semplice vincolo formale ma sostanziale del rapporto di lavoro: il dipendente che le ignora, anche fuori dall’ambiente aziendale, compromette il vincolo fiduciario alla base della collaborazione. Allo stesso tempo, la Corte chiarisce che il ricorso a indagini investigative è irrilevante se i fatti emergono da comportamenti pubblici o da omissioni difensive.
Fonte: SOLE24ORE