Sindacato in azienda anche se solo rappresentativo

Sindacato in azienda anche se solo rappresentativo

  • 31 Ottobre 2025
  • Pubblicazioni
La Corte costituzionale, con la sentenza 156/2025 depositata il 30 ottobre, scrive un nuovo capitolo nella tormentata vicenda dell’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori, la norma che fissa i criteri in base ai quali è consentita la costituzione di rappresentanze sindacali aziendali (Rsa), chiave di accesso alla cosiddetta tutela privilegiata o rafforzata dell’attività sindacale all’interno delle unità produttive. Solo in presenza di Rsa regolarmente costituite, infatti, è garantito il set di diritti previsti dal Titolo III dello Statuto: assemblea e referendum, affissione, permessi retribuiti e non, tutela dei rappresentanti contro i trasferimenti, messa a disposizione di locali. L’accesso a questa tutela rafforzata, che si distingue dalla protezione “di base” garantita a tutte le organizzazioni sindacali (diritto di associazione e attività, tutela contro gli atti discriminatori), è selettivo. Nel testo originario dello Statuto del 1970, i criteri di selezione per godere della tutela privilegiata erano due, alternativi tra loro. Le Rsa potevano essere costituite nell’ambito: 
delle associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale; 
delle associazioni che, pur non affiliate a tali confederazioni, fossero firmatarie di contratti collettivi nazionali o provinciali applicati nell’unità produttiva. Un referendum popolare, tenutosi nel 1995, ha modificato la norma, abolendo il primo dei due requisiti (la maggiore rappresentatività confederale) e togliendo le parole «nazionali o provinciali» dal secondo, così estendendo il criterio della firma a tutti i contratti collettivi, anche aziendali. Si è andati avanti così fino al 2013, quando, con la sentenza 231/2013, la Corte costituzionale è tornata sull’argomento, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’articolo 19 nella parte in cui non prevede che la Rsa possa essere costituita anche nell’ambito di associazioni sindacali che, pur non firmatarie dei contratti collettivi applicati nell’unità produttiva, abbiano comunque partecipato alla trattativa. Ciò al fine dichiarato di evitare che la rappresentatività sindacale fosse condizionata da un riconoscimento pattizio del datore di lavoro. Ora, nella sentenza 156/2025, la Corte si chiede se il criterio della firma, pur allargato alla partecipazione alla trattativa, sia idoneo «a impedire ogni distorsione che possa falsarne la razionalità pratica». La risposta che si dà è negativa: posto che il datore (privato) non ha l’obbligo di trattare con tutte le organizzazioni sindacali, questa sua libertà negoziale non deve potersi tradurre «in un surrettizio ostacolo al godimento delle misure di agibilità che la legge riconosce alle associazioni rappresentative dei lavoratori». In altre parole, il datore potrebbe escludere dalla trattativa anche organizzazioni sindacali effettivamente rappresentative, al fine di non farle accedere ai diritti previsti dallo Statuto dei lavoratori. Ne consegue, afferma la Corte, che il solo criterio della firma/trattativa collide con i principi sanciti dagli articoli 3 e 39 della Costituzione. Vi è dunque l’esigenza di individuare un ulteriore criterio “oggettivo” di accesso alla tutela sindacale privilegiata. Nel pubblico impiego contrattualizzato, il criterio utilizzato per la partecipazione alla contrattazione collettiva è quello della rappresentatività nel comparto o nell’area non inferiore al 5%, considerando la media tra gli iscritti e i voti ottenuti nelle elezioni. Tale criterio è stato introdotto anche nel settore privato dal Testo unico della rappresentanza del 2014, che però si applica solo ai firmatari dell’accordo. Un criterio selettivo legale va dunque individuato e la Corte (con una sentenza tipicamente additiva) ricorre al parametro, adottato in numerosi provvedimenti normativi che si sono susseguiti negli ultimi anni, della rappresentatività comparativa nazionale (desunta dal numero di iscritti, dalla diffusione territoriale, dai contratti stipulati, dalle vertenze risolte) che si aggiunge (alternativamente) ai criteri della firma e della trattativa. Il risultato è che oggi la norma consente la costituzione di Rsa “anche” nell’ambito delle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, a prescindere dalla firma di contratti e dalla partecipazione alle trattative. Una soluzione che la stessa Corte definisce «interinale», accompagnata dall’invito (ormai frequente) al legislatore a un’organica riscrittura della norma.

Fonte: SOLE24ORE