Il caso esaminato dalla Corte d’Appello di Bologna, sezione lavoro, del 13 ottobre 2025 riguarda l’impugnazione giudiziale proposta da un lavoratore avverso due licenziamenti intimati a seguito di due distinti procedimenti disciplinari in base all’articolo 7 legge 300/1970: con il primo è stata contestata l’assenza ingiustificata protrattasi per diversi giorni, con il secondo, spese anomale con carta carburante aziendale. Entrambe le contestazioni disciplinari recavano la stessa data. A conclusione di tali procedimenti, sono state redatte due lettere di licenziamento, entrambe recanti la stessa data, e inviate a mezzo posta. Il lavoratore non le ha ricevute in quanto si trovava ristretto in carcere. Le stesse lettere sono state poi spedite a mezzo Pec al difensore del dipendente, il quale ha provveduto a consegnarle al suo assistito brevi manu presso la casa circondariale. Il lavoratore ha impugnato stragiudizialmente entrambi i licenziamenti con unico atto. Successivamente, nei termini di legge il lavoratore ha impugnato in sede giudiziale solo uno dei licenziamenti, quello basato sull’assenza ingiustificata. Il giudice di primo grado ha respinto il ricorso del lavoratore per difetto di concreto interesse ad agire affermando che, anche laddove licenziamento afferente alle assenze ingiustificate fosse stato dichiarato illegittimo, il secondo, afferente al dedotto uso anomalo della carta carburante aziendale, in quanto non impugnato giudizialmente nel termine di legge, aveva comunque esplicato i suoi effetti risolutivi e definitivi sul rapporto di lavoro. Su ricorso del lavoratore, la Corte di appello di Bologna è stata investita della controversia e, a conclusione del processo, ha rigettato il gravame confermando la sentenza di primo grado. In particolare, la Corte ha rigettato la tesi dell’appellante diretta a sostenere che il secondo licenziamento avrebbe dovuto ritenersi come tamquam non esset, perché fondato su fatti già noti al datore al momento del primo licenziamento. A tal proposito, l’appellante ha anche richiamato la giurisprudenza della Cassazione, secondo cui sono da ritenersi ammissibili plurimi licenziamenti solo in caso di fatti diversi e sopravvenuti o comunque per fatti pervenuti nella conoscenza del datore di lavoro in momenti successivi. Nelle argomentazioni della sentenza di rigetto della Corte di appello vengono affermati due principi di carattere generale: il primo riguarda il concetto della “contestualità” riferita a licenziamenti plurimi e il secondo, nel caso in esame strettamente connesso, attiene all’interesse ad agire quale presupposto dell’azione giudiziale. Quanto al primo tema, la Corte afferma che, nella fattispecie in esame, i due licenziamenti, seppur distinti, devono ritenersi contestuali. E a tal proposito precisa che, ai fini di valutare la contestualità, trattandosi di atti unilaterali ricettizi, si deve avere riguardo non al momento di spedizione (che da un punto di vista temporale non può essere coincidente, n3dr) ma al momento in cui sono pervenuti nella sfera di conoscenza del lavoratore da individuarsi – pacificamente, alla luce delle stesse allegazioni dell’appellante – nel momento di consegna delle due lettere di licenziamento effettuata dal difensore quando il suo assistito si trovava in carcere. Per quanto sopra, a completamento del proprio ragionamento, la Corte di appello censura come inconferente la giurisprudenza di legittimità richiamata dall’appellante secondo cui sono da ritenersi ammissibili plurimi licenziamenti solo in caso di fatti diversi e sopravvenuti o comunque per fatti pervenuti nella conoscenza del datore di lavoro in momenti successivi in quanto i principi ivi espressi si riferiscono alle ipotesi di licenziamenti “a catena” tra loro successivi. In via incidentale si aggiunge che, in argomento, si è pronunciata anche di recente la Cassazione con l’ordinanza 1376/2025 ribadendo che, «ove il datore di lavoro abbia intimato al lavoratore un licenziamento individuale, è ammissibile una successiva comunicazione di recesso dal rapporto da parte del datore medesimo, purché il nuovo licenziamento si fondi su una ragione o motivo diverso sopravvenuto o, comunque, non conosciuto in precedenza dal datore, e la sua efficacia resti condizionata all’eventuale declaratoria di illegittimità del primo». Tornando ora alla sentenza in esame, sul secondo tema, quello dell’interesse ad agire, la Corte conferma la sentenza di primo grado ribadendo che l’azione diretta a ottenere la declaratoria di illegittimità di uno solo di due licenziamenti difetta di interesse ad agire in quanto, in assenza di una impugnazione tempestiva, il rapporto di lavoro deve comunque intendersi definitivamente risolto in ragione dell’altro licenziamento. Conclude, quindi, la Corte osservando che il lavoratore, onde essere legittimato a far dichiarare l’inefficacia del licenziamento intimato in ragione dell’assenza ingiustificata avrebbe dovuto impugnare giudizialmente anche quello basato su una diversa contestazione disciplinare, vale a dire l’uso improprio della carta carburante. La mancata impugnazione di quest’ultimo ha reso definitiva la cessazione del rapporto di lavoro per decorso dei 180 giorni dall’impugnazione stragiudiziale.
Fonte: SOLE24ORE