Nullo il contratto di apprendistato senza formazione

Nullo il contratto di apprendistato senza formazione

  • 20 Ottobre 2025
  • Pubblicazioni
Deve essere ritenuto nullo il contratto di apprendistato professionalizzante in caso di mancata dimostrazione del corretto espletamento degli obblighi formativi da parte del datore di lavoro, ove l’inadempimento abbia un’obiettiva rilevanza, concretizzandosi nella totale mancanza di formazione, teorica e pratica, ovvero in una attività formativa carente o inadeguata rispetto agli obiettivi indicati nel progetto di formazione e trasfusi nel contratto. In difetto della previa contestazione disciplinare, il lavoratore assunto con contratto a tutele crescenti ha diritto alla tutela reintegratoria prevista dall’articolo 3, comma 2, del Dlgs 23/2015. A queste conclusioni è giunto il Tribunale del lavoro di Tivoli con sentenza 1209/2025 del 30 settembre in accoglimento del ricorso proposto da un apprendista assunto per svolgere mansioni di allestitore da un’azienda operante nel settore dei traslochi e allestimento palcoscenici. Richiamato lo scopo del contratto di apprendistato, consistente nel favorire l’ingresso guidato dei giovani nel mondo del lavoro attraverso un programma di formazione costituito da fasi teoriche alternate a fasi pratiche, il Tribunale ha rimarcato che il datore di lavoro, oltre alle obbligazioni retributive, deve adempiere a quelle inerenti alla formazione, ossia redigere il piano formativo individuale per iscritto, individuare un tutor o referente aziendale, registrare la formazione sul libretto dell’apprendista e – soprattutto - garantire lo svolgimento della formazione da parte dell’apprendista. Nel caso esaminato, tuttavia, il datore di lavoro non solo non ha fornito prova del piano formativo, ma non ha nemmeno dimostrato di avere svolto attività di formazione. Accertato l’inadempimento degli obblighi di formazione, il giudice ha dichiarato la trasformazione del rapporto di lavoro in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato fin dall’inizio, condannando l’azienda al pagamento delle conseguenti differenze retributive e alla regolarizzazione contributiva, dopo avere integrato il contraddittorio con l’istituto previdenziale. Con riferimento all’impugnazione del licenziamento proposta dal lavoratore, poi, il Tribunale ha accertato che il datore di lavoro non ha fornito la prova dell’avvenuta notifica della lettera inviata al dipendente per contestare gli addebiti, lettera che non risultava essere stata recapitata a causa dell’errata indicazione sul plico del numero civico di residenza del lavoratore. Non potendo la mancata consegna essere addebitata al dipendente, il quale aveva comunicato il corretto indirizzo di residenza al datore di lavoro, il giudice ha ritenuto che sia mancata la prova della previa contestazione degli addebiti prescritta dall’articolo 7 dello Statuto dei lavoratori, la quale costituisce un elemento essenziale di garanzia del procedimento disciplinare, come ribadito dalla costante giurisprudenza della Corte di cassazione (1026/2015, 2851/2006), oltre che espressione di un inderogabile principio di civiltà giuridica (Corte costituzionale 204/1982). La conseguenza dell’omessa previa contestazione disciplinare è stata individuata dal Tribunale nella tutela reintegratoria prevista dall’articolo 3, comma 2, del Dlgs 23 del 2015 in caso di «insussistenza del fatto materiale contestato». La decisione si pone in linea con il consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo il quale l’omessa contestazione determina l’inesistenza del procedimento disciplinare con conseguente applicazione della tutela della reintegrazione nel posto di lavoro prevista in caso di insussistenza del fatto contestato, che «implicitamente non può che ricomprendere anche l’ipotesi di inesistenza della contestazione» (Cassazione 4879/2020).

Fonte: SOLE24ORE