Revoca del licenziamento e stato di gravidanza

Revoca del licenziamento e stato di gravidanza

  • 14 Ottobre 2025
  • Pubblicazioni
Con la sentenza n. 26954 del 7 ottobre 2025, la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, ha affrontato una questione di cruciale importanza in materia di licenziamento della lavoratrice in stato di gravidanza, chiarendo la decorrenza del termine per l'esercizio del diritto di revoca da parte del datore di lavoro.  La questione é se il termine perentorio di 15 giorni per la revoca del licenziamento, previsto dall'art. 5 del D.Lgs. n. 23/2015, decorra dalla generica impugnazione stragiudiziale della lavoratrice o dalla successiva comunicazione, da parte della stessa, del proprio stato di gravidanza, motivo di nullità del recesso del quale il datore di lavoro non era a conoscenza. La controversia trae origine dal licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato a una lavoratrice che, al momento del recesso, si trovava in stato di gravidanza. La lavoratrice aveva inizialmente impugnato il licenziamento con una comunicazione generica, senza specificare il proprio stato. Solo in un secondo momento, con una lettera integrativa, informava il datore di lavoro della gravidanza, allegando la relativa certificazione medica. Il datore di lavoro, solo a seguito di tale comunicazione, revocava il licenziamento. La Suprema Corte ha affermato un principio di diritto basato su una rigorosa interpretazione della normativa stabilendo che il diritto di revoca costituisce un diritto potestativo di carattere eccezionale" rispetto ai principi generali dell'ordinamento. Proprio in virtù della sua natura eccezionale, la norma non può essere applicata oltre i casi e i limiti chiaramente delineati: Il termine di 15 giorni per la revoca è qualificato come "termine di decadenza" e, ricordano i giudici, "non sussiste un obbligo della gestante di denunciare la propria condizione, obbligo che potrebbe comportare una disparità di trattamento tra generi". In conclusione, il datore di lavoro ha una finestra di 15 giorni, decorrente da qualsiasi atto scritto con cui il lavoratore manifesti la volontà di impugnare il recesso, per esercitare il diritto potestativo di revoca. Scaduto tale termine, ogni tentativo di "revoca" si configura come una mera proposta di ricostituzione del rapporto, che il lavoratore è libero di accettare o rifiutare, mantenendo impregiudicato il proprio diritto a far valere in giudizio la nullità del licenziamento.