Nel caso oggetto della sentenza n. 26173 del 25 settembre 2025 della Corte di Cassazione, un lavoratore, con qualifica di quadro e mansioni di “Construction Manager” principalmente presso il cantiere della propria datrice di lavoro in Romania, impugnava giudizialmente il licenziamento per giusta causa intimatogli all'esito di un procedimento disciplinare avviato nei suoi confronti. Il Tribunale adito annullava il licenziamento e, per l'effetto, condannava la società alla sua reintegra nel posto di lavoro, al pagamento del risarcimento del danno pari a 12 mensilità di retribuzione (oltre accessori) e al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal dì del licenziamento a quello dell'effettiva reintegra. La decisione si fondava sull'applicabilità al rapporto di lavoro della legge italiana, in base al Reg. UE 1215/2012 (“Regolamento Bruxelles I bis”, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale) ed al Reg. UE 593/2008 (noto come “Roma I”, e relativo alla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali). In particolare, il Tribunale riteneva applicabile al caso de quo l'art. 8 del Regolamento Roma I, benché il contratto individuale di lavoro richiamasse la legge romena. Anche in presenza di una scelta pattizia circa la legge applicabile, ad avviso del Tribunale, occorre verificare che essa non privi il lavoratore delle tutele inderogabili assicurate dalla legge del Paese con cui il contratto presenta il collegamento più stretto. Di conseguenza, il Tribunale riteneva inapplicabili le previsioni contrattuali in materia di recesso, nella misura in cui prevedevano per il licenziamento ingiustificato tutele inferiori rispetto a quelle garantite dalla normativa italiana, aventi natura imperativa e inderogabile. Dichiarava, quindi, illegittimo il provvedimento per la violazione dell'art. 7 L. 300/1970, risultando la contestazione disciplinare priva dei requisiti di determinatezza, specificità e tempestività. L'estrema genericità della contestazione, secondo il Tribunale, era tale da fare assimilare l'ipotesi a quella dell'omessa contestazione, dichiarando applicabile la tutela reintegratoria attenuata di cui all'art. 3 D.Lgs. 23/2015. La Corte d'Appello, in parziale accoglimento dell'appello della società e in parziale riforma della sentenza impugnata in punto di reintegra, la condannava alla sola indennità risarcitoria, conseguente all'annullamento del licenziamento, determinata nella misura di 5 mensilità dell'ultima retribuzione (oltre interessi e rivalutazione come per legge) ed alla regolarizzazione contributiva. Secondo la Corte distrettuale, al rapporto di lavoro doveva ritenersi applicabile la legge romena, in base alla scelta effettuata dalle parti nel contratto individuale. Inoltre, la Corte precisava che, anche ipotizzando l'applicabilità della legge italiana, la tutela della reintegra conseguente alla dichiarazione di illegittimità del licenziamento non potesse considerarsi inderogabile. L'inderogabilità va riferita piuttosto al principio di stabilità del rapporto e al divieto di licenziamento arbitrario ma non alla misura sanzionatoria applicabile. Pertanto, pur confermando l'illegittimità del licenziamento per violazione dell'art. 7 L. 300/1970, la Corte d'appello riteneva applicabile la sanzione convenzionalmente individuata dalle parti per i casi di licenziamento ingiustificato, consistente nella corresponsione di un indennizzo da un minimo di 2,5 a un massimo di 5 mensilità dell'ultima retribuzione. Nello specifico, tale indennità veniva determinata nella misura massima prevista. Il lavoratore proponeva ricorso in cassazione avverso la sentenza pronunciata dalla Corte d'Appello, a cui resisteva la società con controricorso. L'art. 8 del Regolamento n. 593/2008 (Roma I). Il Regolamento Roma I ha sostituito la Convenzione sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali del 19 giugno 1980 e si applica ai contratti conclusi dopo il 17 dicembre 2009. Per quanto di precipuo interesse, l'art. 8 del Regolamento, intitolato «Contratti individuali di lavoro», prevede che: “1. Un contratto individuale di lavoro è disciplinato dalla legge scelta dalle parti conformemente all'articolo 3. Tuttavia, tale scelta non vale a privare il lavoratore della protezione assicuratagli dalle disposizioni alle quali non è permesso derogare convenzionalmente in virtù della legge che, in mancanza di scelta, sarebbe stata applicabile a norma dei paragrafi 2, 3 e 4 del presente articolo. 2. Nella misura in cui la legge applicabile al contratto individuale di lavoro non sia stata scelta dalle parti, il contratto è disciplinato dalla legge del paese nel quale o, in mancanza, a partire dal quale il lavoratore, in esecuzione del contratto, svolge abitualmente il suo lavoro. Il paese in cui il lavoro è abitualmente svolto non è ritenuto cambiato quando il lavoratore svolge il suo lavoro in un altro paese in modo temporaneo. 3. Qualora la legge applicabile non possa essere determinata a norma del paragrafo 2, il contratto è disciplinato dalla legge del paese nel quale si trova la sede che ha proceduto ad assumere il lavoratore. 4. Se dall'insieme delle circostanze risulta che il contratto di lavoro presenta un collegamento più stretto con un paese diverso da quello indicato ai paragrafi 2 o 3, si applica la legge di tale diverso paese”. La Corte di Cassazione non condivide la posizione dei giudici di merito che hanno ritenuto applicabile
la legge italiana ai fini della declaratoria di illegittimità del licenziamento per violazione dell'art. 7 L. 300/1970;
la legge romena per la determinazione della conseguente sanzione, individuata nella tutela indennitaria convenzionalmente pattuita dalle parti nel contratto individuale di lavoro stipulato ai sensi della legge romena stessa.
Questa operazione, a suo avviso, si traduce nella sovrapposizione di due sistemi normativi in palese contrasto con le regole stabilite dal Regolamento Roma I, le quali impongono l'applicazione di una sola normativa alla fattispecie (nel caso concreto quella italiana o quella romena). In particolare, il predetto Regolamento detta criteri comuni per l'individuazione della legge nazionale applicabile alle obbligazioni contrattuali nelle controversie in materia civile e commerciale che coinvolgono più Paesi. Come precisato nel considerando 23 dello stesso Regolamento, “l'interpretazione di tale disposizione deve ispirarsi a principi del favor laboratoris”, in quanto le parti contrattualmente più deboli devono essere protette «tramite regole di conflitto di leggi più favorevoli ai loro interessi di quanto non lo siano le norme generali» (cfr. sent. CGUE 15 marzo 2011 nonché sent. CGUE 12 settembre 2013). Il Regolamento si fonda, infatti, sul presupposto che, nei rapporti contrattuali, in cui le parti non si trovino in condizioni di parità, occorre garantire una maggiore protezione alla parte che, sotto l'aspetto socioeconomico, è più debole. Secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia (cfr. sent. CGUE sopra citate), tenuto conto dell'obiettivo di assicurare una migliore tutela al lavoratore, l'art 8 del Regolamento impone che al contratto di lavoro venga applicata la legge del Paese con il quale esso presenti il collegamento più stretto. Questo non comporta, in modo automatico, l'applicazione della legge più favorevole al lavoratore in tutti i casi, ma richiede, ai fini della sua tutela quale parte debole del rapporto, al giudice nazionale una valutazione complessiva delle circostanze che caratterizzano il rapporto di lavoro. A tal fine il giudice è tenuto ad esaminare quella o quelle che risultano maggiormente significative, prendendo in esame tutte le circostanze pertinenti (come ad es. il luogo di lavoro effettivo, il paese in cui il lavoratore versa le imposte e le tasse sui redditi della sua attività nonché quello in cui egli è iscritto al sistema di previdenza sociale ed ai diversi regimi pensionistici, di assicurazione malattia e di invalidità, i parametri presi in considerazione per stabilire la retribuzione e le altre condizioni di lavoro). Nel caso di specie, secondo la Corte di Cassazione, i giudici di merito non si sono conformati ai principi sanciti dall'art. 8 del Regolamento così come interpretati dalla Corte di Giustizia, poiché non hanno individuato la legge applicabile da cui farne derivare le conseguenze per la sua decisione. In considerazione di quanto sopra esposto, la Corte di Cassazione cassa la sentenza impugnata, rinviandola alla medesima Corte d'Appello, in diversa composizione, affinché proceda a un nuovo esame della fattispecie. Ciò, previa individuazione di un'unica legge applicabile al rapporto di lavoro (italiana o romena), secondo i criteri stabiliti dall'art. 8 del Regolamento Roma I, come interpretato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea.
Fonte: QUOTIDIANO PIU' - GFL