Infortuni sul lavoro: anche il committente può essere responsabile

Infortuni sul lavoro: anche il committente può essere responsabile

  • 29 Settembre 2025
  • Pubblicazioni
Il datore di lavoro committente deve rispettare gli obblighi di sicurezza ex art. 26 TUSL e può essere ritenuto responsabile per infortuni qualora permanga nella disponibilità giuridica dei luoghi di esecuzione dell'appalto: lo ha stabilito la Cassazione con Sent. 12 settembre 2025 n. 25113. Il datore di lavoro committente, che affidi lavori, servizi o forniture ad impresa appaltatrice nell'ambito della propria azienda nonché nell'ambito dell'intero ciclo produttivo della medesima, è tenuto, ove abbia la disponibilità giuridica dei luoghi in cui si svolge l'appalto, all'adempimento degli specifici obblighi imposti dall'art. 26 D.Lgs. 81/2008 (Testo unico sulla sicurezza sul lavoro). In caso di inadempimento a tali obblighi, il committente può essere ritenuto responsabile dell'infortunio sul lavoro occorso ai dipendenti dell'impresa appaltatrice, anche in mancanza di qualsiasi ingerenza sull'attività di quest'ultima. Lavoratore dipendente di una società, recatosi presso un'altra azienda committente al fine di effettuare la manutenzione di un macchinario, ha subito un grave infortunio sul lavoro per la caduta di un carrello posto sopra il motore del macchinario in riparazione. Il Tribunale di Vicenza, adito dal lavoratore infortunato e dai suoi prossimi congiunti, ha escluso la responsabilità dell'azienda committente ed ha condannato esclusivamente la società datrice di lavoro del lavoratore infortunato al risarcimento del danno (a titolo non patrimoniale e patrimoniale ed in favore del solo ricorrente). La Corte di Appello di Venezia ha confermato tale decisione. Per quel che ai fini di una valutazione sulla responsabilità della società committente presso la quale era stato effettuato l'intervento manutentivo (nel mentre dei giudizi, fallita), la Corte d'Appello ha escluso il rischio cd. "interferenziale", con i conseguenti obblighi ex art. 26 d.lgs. n. 81/2008, argomentando che: 
l'attività di riparazione del macchinario era a carico esclusivo della produttrice (azienda appaltatrice);
è stato interpellato per la manutenzione proprio il soggetto che aveva realizzato l'impianto; 
non v'era motivo di dubitare delle capacità tecniche della convenuta e nemmeno dell'infortunato; 
il ciclo produttivo della committente era sospeso e la riparazione è stata effettuata senza intervento alcuno di dipendenti o preposti della committente. 
Inoltre, la Corte ha aggiunto che nel corso di causa non è emersa "la nocività dell'ambiente di lavoro" ed ha concluso per l'assenza di prova della "interferenza", in quanto "l'intervento di manutenzione è stato svolto in un'area ben delimitata e circoscritta che non aveva punti di contatto con altri macchinari in movimento pure presenti all'interno degli stessi locali". La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, ha riformato le decisioni di merito. I Giudici di Cassazione hanno rilevato che le decisioni di merito non fossero in linea con i principi espressi recentemente dalla giurisprudenza di legittimità,  citando espressamente la sentenza Cass. n. 11918 del 2025. A parer dei Giudici, infatti, il richiamato precedente giurisprudenziale ha condotto un'analisi completa sull'evoluzione della giurisprudenza in relazione allo sviluppo del quadro normativo "concernente il regime di responsabilità del committente per gli infortuni sofferti da dipendenti di ditte appaltatrici o subappaltatrici", a partire dalle origini ove, in assenza di previsioni di legge legislative specifiche, v'era una tendenza esonerativa di responsabilità del committente, fino alle fasi centrali ove, in chiave costituzionalmente orientata dell'art. 2087 c.c., ritenuto estensivamente applicabile al committente debitore di sicurezza anche nei confronti di dipendenti altrui. Tuttavia, l'estensione di responsabilità poteva ravvisarsi soltanto sub esplicita condizione che il committente si fosse reso "garante della vigilanza relativa alle misure da adottare in concreto, riservandosi i poteri tecnico-organizzativi dell'opera da eseguire; condizione sovente accompagnata dall'affermazione della responsabilità del committente solo nel caso di "ingerenza" nell'esecuzione dell'appalto, tale da ridurre l'appaltatore a mero esecutore ovvero agendo in modo da comprimerne l'autonomia organizzativa, nonché nell'ipotesi della colpa nella scelta dell'appaltatore". La giurisprudenza di legittimità ha tuttavia recentemente rimarcato con forza la radicale diversità tra i criteri di imputazione della responsabilità in ambito civile - dominati dalla regola dettata dall'art. 1218 c.c. in base alla quale il datore di lavoro è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l'inadempimento "è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile". Mantenendo un focus sull'ambito di salute e sicurezza sul lavoro, deve essere rammentato che il quadro normativo di riferimento, su spinta comunitaria si è notevolmente arricchito con l'art. 26, D.Lgs. 81/2008. L'art. 26 cit. vigente ratione temporis (infortunio avvenuto il 1 dicembre 2011) prevede "per il datore di lavoro, in caso di affidamento di lavori, servizi e forniture all'impresa appaltatrice o a lavoratori autonomi all'interno della propria azienda, o di una singola unità produttiva della stessa, nonché nell'ambito dell'intero ciclo produttivo dell'azienda medesima, sempre che abbia la disponibilità giuridica dei luoghi in cui si svolge l'appalto o la prestazione di lavoro autonomo", un coacervo di obblighi": 
verifica dell'idoneità tecnico-professionale delle imprese appaltatrici a fornire dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente in cui sono destinati ad operare e sulle misure di prevenzione; 
cooperazione per l'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull'attività lavorativa oggetto dell'appalto con informazione reciproca anche al fine di eliminare rischi  dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell'esecuzione dell'opera; 
cooperazione e coordinamento di quanto sopra attraverso l'elaborazione del DUVRI (documento di valutazione dei rischi che indichi le misure adottate per eliminare o, ove ciò non è possibile, ridurre al minimo i rischi da interferenze) da allegare al contratto di appalto (tranne che nei casi di esclusione tassativamente citati dalla normativa); 
solidarietà del committente con l'appaltatore (nonché con eventuali subappaltatori), "per tutti i danni per i quali il lavoratore, dipendente dall'appaltatore o dal subappaltatore, non risulti indennizzato dall'INAIL o dall'IPSEMA, con la clausola di esonero dalla responsabilità solidale delineata dal comma per i "danni conseguenza dei rischi specifici propri dell'attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici". Alla stregua di tale sviluppo normativo, le più recenti decisioni della Suprema Corte hanno ritenuto che la normativa in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, con specifico riferimento alle casistiche di appalti, stabilisca una serie di obblighi specifici, in caso di affidamento di lavori, servizi e forniture, gravanti sulle imprese committenti, l'adempimento dei quali deve essere necessariamente accertato nei casi di infortunio subito da lavoratori delle imprese appaltatrici o subappaltatrici. Fatte tali premesse, i Giudici hanno rilevato che l'ambito di applicazione dell'art. 26 D.Lgs. 81/2008, pur riferendosi la disposizione specificamente alle figure tipizzate dell'appalto e del contratto d'opera, deve essere esteso anche ad altre fattispecie contrattuali tutte le volte in cui si realizzi l'integrazione di diverse organizzazioni e soggettività giuridiche all'interno del medesimo scenario d'impresa. Non è dirimente la qualificazione civilistica attribuita al rapporto tra imprese, a fronte della chiara finalità della normativa in atto. Nella vicenda in esame, è indubbio che l'azienda committente avesse affidato lavori di manutenzione ad altra impresa da eseguirsi all'interno della propria azienda, "luogo di cui aveva certamente la disponibilità giuridica e nell'ambito di tale ambiente di lavoro, di cui aveva la titolarità e il controllo delle fonti di rischio, era destinata a realizzarsi una "compresenza" di lavoratori di più imprese, anche solo potenziale, comunque rilevante secondo la disciplina interna e comunitaria in materia". Nel dirimere la questione, i giudici d'appello hanno "in radice escluso integralmente l'applicabilità dell'art. 26 del Testo Unico del 2008 (e implicitamente anche dell'art. 2087 c.c.) sulla base di rilievi ex post, ciascuno di per sé solo non dirimente ai fini dell'operatività della disposizione". La Corte di Cassazione è di diverso avviso. Infatti, in considerazione della richiamata giurisprudenza "non era, infatti, sufficiente la sola verifica che non fosse ravvisabile una culpa in eligendo o in vigilando della committente ovvero che quest'ultima non si fosse ingerita nell'esecuzione del servizio di manutenzione, né tanto meno la mera circostanza che al momento dell'intervento fossero state sospese le lavorazioni e non ci fossero "punti di contatto con altri macchinari in movimento"; altrimenti ragionando, sarebbe sufficiente ad escludere qualsivoglia rischio interferenziale, ed i conseguenti obblighi di prevenzione stabiliti dall'art. 26, il mero avvicendarsi di lavoratori diverse imprese pur nel medesimo scenario lavorativo, tale da evitare la sola fisica presenza contestuale, come se non fosse, invece, la comunanza dell'ambiente in cui è svolta la prestazione a generare un perdurante rischio di infortuni e, quindi, a determinare la necessità di attivare le procedure di informazione e consultazione previste dalla legge all'insegna del principio della massima sicurezza tecnologicamente possibile". Di conseguenza, a parer dei Giudici di Cassazione, la Corte territoriale avrebbe prima dovuto accertare l'eventuale inadempimento della committente in relazione agli obblighi previsti dall'art. 26 D.Lgs. 81/2008 e, soltanto successivamente, "verificare in concreto l'incidenza causale degli accertati inadempimenti sulla eziologia del sinistro verificatosi. Solo all'esito di tale indagine, condotta alla luce dei criteri civilistici di imputazione della responsabilità contrattuale, si sarebbe potuto giungere ad una eventuale esclusione di obblighi risarcitori in capo alla committente". Dal momento the tale accertamento non è stato condotto, la sentenza impugnata è stata cassata sul punto affinché il giudice del rinvio possa provvedere ad "una rinnovata valutazione dei fatti di causa alla luce del parametro normativo così come individuato e correttamente interpretato in questa sede di legittimità".

Fonte: QUOTIDIANO PIU' - GFL