Legittimo il licenziamento del dipendente che fruisce del congedo parentale per svolgere un’attività diversa dalla cura del figlio
- 23 Settembre 2025
- Pubblicazioni
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24922 del 9 settembre 2025, è tornata a pronunciarsi sul congedo parentale e sul legittimo esercizio di tale diritto, riconoscendo la legittimità del licenziamento intimato al dipendente che, durante la fruizione di tale permesso, aveva svolto attività diverse dalla cura della prole. In sede di impugnazione della sentenza di secondo grado, che aveva accertato la legittimità del licenziamento intimato dal datore di lavoro per abuso dei congedi parentali, il dipendente sosteneva che potesse configurarsi una violazione dell’art. 32, D.Lgs. n. 151/2001 – norma che riconosce il diritto a tale congedo – unicamente nell’ipotesi in cui il dipendente fosse stato sorpreso a svolgere un’attività di natura diversa dall’accudimento della prole in modo sistematico e continuativo, ossia in quantità tale da “occupare” una parte significativa del tempo messo a disposizione al genitore. I giudici di legittimità, tuttavia, ripercorrendo la ratio sottesa a tale istituto, hanno del tutto disatteso la tesi sostenuta dal lavoratore. Richiamando la giurisprudenza sul punto, la Corte di Cassazione ha ricordato che l’istituto del congedo parentale risponde all’esigenza di carattere affettivo e relazionale, collegata allo sviluppo del bambino. Tale congedo è configurabile come un diritto potestativo, sicché il titolare realizza da solo l’interesse tutelato e l’altra parte, ossia il datore di lavoro, si trova in una situazione di mera soggezione. Proprio per tale ragione al datore di lavoro è riconosciuta la facoltà di verificare e controllare che il dipendente eserciti legittimamente il diritto riconosciutogli dall’ordinamento, ciò sul presupposto che il diritto potestativo in esame non determina un mero arbitro nel suo esercizio, né ne esclude il suo controllo, posto che il congedo parentale determina la privazione dell’attività lavorativa nei confronti del datore di lavoro; tale diritto presuppone, infatti, un onere di preavviso nei confronti del datore di lavoro e la conseguente sospensione della prestazione lavorativa del dipendente (Cass. n. 509/2018). Ciò posto, qualora venga accertato che il lavoratore abbia svolto un’attività diversa dalla mera cura del figlio durante il periodo di congedo parentale, tale condotta si configura quale abuso del diritto riconosciutogli, condotta contraria a correttezza e buona fede nei confronti del datore di lavoro, il quale si è visto privare ingiustamente della prestazione lavorativa del dipendente genitore. A ben vedere, la sentenza in commento giunge ad escludere la rilevanza della “quantificazione” del tempo dedicato alla cura del figlio rispetto a un’altra attività estranea, richiamando in via analogica la giurisprudenza di legittimità in tema di permessi per assistere un familiare disabile; anche in tali ipotesi, infatti, può configurare una giusta causa di licenziamento la fruizione da parte del dipendente di un congedo ex L. 104/1992 per svolgere attività diverse dalla cura del disabile. Volendo, però, applicare alla fattispecie in commento i principi sanciti dalla giurisprudenza creatasi proprio in tema di fruizione del congedo per assistere un familiare disabile (cfr. Cass. ord. n. 7306/2023 e sent. n. 6796/2022), come del resto operato dalla Corte di Cassazione nella sentenza in commento, si potrebbe affermare che non integri un abuso del diritto qualora il dipendente durante il periodo di assenza per congedo parentale svolga attività di accudimento del figlio in tempi e modi tali da soddisfare in modo preminente le esigenze della prole, pur senza abdicare del tutto alle proprie esigenze personali e familiari. Tale conclusione, tuttavia, parrebbe porsi in conflitto con la giurisprudenza di merito in tema di congedo parentale, secondo cui l’abuso di tale diritto si configura non solo, come nel caso di specie, quando il dipendente svolga un’altra attività lavorativa durante il periodo di congedo parentale, ma anche qualora svolga una qualsiasi altra attività che, per le sue modalità e la sua durata, si riveli incompatibile con la dedizione al figlio (Corte d’Appello di Firenze n. 140/200). Ad ogni modo, ciò che rileva al fine di un corretto utilizzo del congedo di paternità è che persista il nesso tra l’assenza dal lavoro e l’accudimento del figlio; ovemai tale nesso dovesse venir meno, il suo utilizzo diverrebbe improprio, con conseguente legittimo licenziamento del dipendente.