Nel caso oggetto dell'ordinanza della Corte di Cassazione n. 23513 del 19 agosto 2025, il Tribunale di prime cure, accogliendo l'opposizione proposta dalla società datrice di lavoro, revocava il decreto ingiuntivo con cui le era stato ordinato di pagare ad un suo ex dirigente, dimessosi per giusta causa, una somma a titolo di indennità sostitutiva per n. 122,10 giorni di ferie non godute. In appello, la decisione veniva parzialmente riformata e la società condannata al pagamento in favore del lavoratore delle differenze retributive dovute, oltre agli accessori di legge. Secondo la Corte, territoriale il Tribunale aveva disatteso il principio consolidato della giurisprudenza di legittimità, secondo cui il mancato godimento delle ferie determina - una volta divenuto impossibile per l'imprenditore, anche senza sua colpa, consentirne la fruizione - il diritto del lavoratore al pagamento dell'indennità sostitutiva. Tale indennità, avente natura retributiva, costituisce, ai sensi degli artt. 1463 e 2037 c.c., il controvalore economico di prestazioni non più esigibili né restituibili in forma specifica. Essa non spetta solo se il datore di lavoro dimostra di avere effettivamente messo il lavoratore nella condizione di godere delle ferie, rendendosi quest'ultimo inadempiente rispetto all'obbligazione. Applicando questo principio, la Corte d'Appello rilevava come la società non avesse provato di avere offerto al dirigente un adeguato tempo per il godimento delle ferie. In particolare, non risultava che questi avesse disatteso l'invito, contenuto in una comunicazione aziendale, ad assentarsi per sessanta giorni. Inoltre, l'onere probatorio non poteva ritenersi soddisfatto mediante il richiamo accordi sindacali che prevedevano lo smaltimento delle ferie arretrate. Ciò in quanto tali intese non potevano giustificare la sostituzione del diritto al riposo annuale con il pagamento della relativa indennità, se l'impossibilità di fruirne non era imputabile al lavoratore. Ad ogni modo, trattandosi di un diritto costituzionalmente garantito, esso deve ritenersi indisponibile. Parimenti, la società non aveva provato che il dirigente disponesse di un'autonomia gestionale tale da potergli consentire di determinare liberamente il periodo di ferie, senza ingerenze datoriali. Né risultavano comprovate esigenze aziendali assolutamente eccezionali ed obiettive che avrebbero giustificato la mancata fruizione delle ferie e determinato il venir meno del diritto alla indennità sostitutiva. Infine, la Corte distrettuale aveva escluso che fosse maturata la prescrizione, precisando che il termine per l'esercizio del diritto alla indennità sostitutiva delle ferie decorre dalla cessazione del rapporto di lavoro. Proponeva ricorso in cassazione la società a cui resisteva con controricorso il lavoratore. La Corte di Cassazione sottolinea che la questione oggetto del giudizio verte sull'accertamento del grado di autonomia riconosciuto al dirigente nella determinazione delle proprie ferie, elemento essenziale per valutare - secondo i consolidati orientamenti giurisprudenziali - la sussistenza della condizione che esclude il diritto all'indennità sostitutiva in caso di mancato godimento delle ferie, senza responsabilità imputabili al datore di lavoro. Al riguardo, la Corte di Cassazione osserva come la Corte distrettuale, nel ritenere insufficienti le allegazioni fornite la società, ha richiesto un livello di autonomia ancora più elevato, connotato dalla “totale assenza” di “ingerenze datoriali nella programmazione e attribuzione delle ferie”. Per i giudici di merito, infatti, non è sufficiente che il dirigente disponga di una significativa autonomia nella gestione dei propri tempi di lavoro tale da consentirgli una programmazione per tempo dello smaltimento delle ferie. È, invece, necessario che egli goda di una assoluta discrezionalità nella gestione delle proprie ferie, senza necessità di doversi rapportare in relazione a tale scelta con la parte datoriale. Viene fatta salva naturalmente l'ipotesi in cui sussistano comprovate esigenze aziendali, oggettivamente riconoscibili. Sotto questo profilo la Corte di Cassazione ritiene che la sentenza impugnata non presenta margini di ambiguità. Il parametro giuridico adottato è pienamente conforme all'orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, secondo cui il diritto all'indennità sostitutiva per ferie non godute può essere escluso solo quando il dirigente, pur avendo il potere di autonomamente determinare il periodo di ferie senza alcuna ingerenza datoriale, non abbia esercitato tale facoltà, rinunciando al riposo annuale. Resta fermo, tuttavia, che tale diritto spetta al lavoratore qualora dimostri di non aver potuto usufruire delle ferie per esigenze aziendali eccezionali, obiettive e documentabili. Passando poi alla questione della prescrizione del diritto all'indennità sostitutiva delle ferie e dei riposi settimanali non goduti, la Corte di Cassazione sottolinea come la giurisprudenza di legittimità abbia chiarito che il relativo termine inizia a decorre dalla data di cessazione del rapporto di lavoro, salvo che il datore di lavoro dimostri che “il diritto alle ferie ed ai riposi settimanali è stato perso dal prestatore, per non averne goduto nonostante l'invito a usufruirne”. Questione questa, ad ogni modo estranea alla res controversa. Non può, infine, ritenersi superabile tale orientamento – come, invece, sostenuto dalla società – facendo leva sulla disciplina dell'indennità sostitutiva contenuta nell'art. 10 c. 2 D.Lgs. 66/2003. A tal proposito rilevano le considerazioni già espresse dalla giurisprudenza di legittimità in ordine alla necessità di una interpretazione conforme al diritto dell'Unione Europea, tenuto conto della posizione di debolezza contrattuale del lavoratore nonché del rischio di misure ritorsive o pregiudizievoli da parte del datore di lavoro in caso di rivendicazione del diritto. La Corte di Cassazione, pertanto, rigetta il ricorso, condannando la società al pagamento delle spese di lite.
Fonte: SOLE24ORE