Chi cura un familiare disabile può cambiare orario di lavoro

Chi cura un familiare disabile può cambiare orario di lavoro

  • 12 Settembre 2025
  • Pubblicazioni
I caregiver familiari, pur non essendo disabili, sono tutelati contro le discriminazioni indirette sul lavoro legate alla disabilità del congiunto assistito. Questo il principio con cui la Corte di giustizia dell’Unione europea, mediante sentenza pubblicata l’11 settembre (causa C-38/24), ha risposto a un rinvio pregiudiziale della Corte di cassazione italiana (ordinanza interlocutoria 1788/2024) su un caso che vedeva protagonista una lavoratrice addetta alla sorveglianza della metropolitana di Roma. La dipendente, madre di un figlio minore affetto da grave disabilità, ha chiesto di essere assegnata a un turno fisso mattutino per poterlo assistere durante le cure pomeridiane. L’azienda ha concesso adattamenti provvisori, ma ha negato la stabilizzazione della misura. Respinto il ricorso in primo e in secondo grado, la lavoratrice ha adito la Cassazione, che ha sospeso il giudizio e chiesto alla Corte Ue se la direttiva 2000/78/Ce possa applicarsi a situazioni di discriminazione “per associazione”, cioè a chi subisce un pregiudizio lavorativo in ragione della disabilità di un familiare. La Corte ha risposto affermativamente, ricordando che il principio di non discriminazione, sancito dall’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali e concretizzato dalla direttiva 2000/78, non può essere interpretato restrittivamente. Tale principio, secondo la sentenza, vieta «qualsiasi discriminazione», diretta o indiretta, fondata sulla disabilità, e ciò vale anche per i lavoratori che, pur non essendo disabili, subiscono uno svantaggio perché devono prestare cure essenziali a un figlio disabile. La Corte richiama in particolare la sentenza Coleman del 17 luglio 2008 (C-303/06), con cui è stato stabilito che il divieto di discriminazione diretta si applica anche al lavoratore non disabile che subisce un trattamento meno favorevole a causa della disabilità di un figlio. In quel caso si trattava di una segretaria licenziata dopo avere chiesto orari più flessibili per accudire il bambino disabile. La Corte ha chiarito altresì che il datore di lavoro ha l’obbligo di adottare «soluzioni ragionevoli» anche nei confronti del caregiver, sulla base dell’articolo 5 della direttiva. Ciò significa che, laddove un lavoratore non disabile assista un figlio affetto da grave disabilità, l’impresa deve valutare aggiustamenti organizzativi che rendano concretamente possibile la prestazione lavorativa, come la riassegnazione a un posto con orario compatibile, la riduzione dell’orario o altri adattamenti funzionali. L’obbligo non è assoluto, prosegue la sentenza, ma limitato dal principio di proporzionalità: le misure non devono comportare un onere finanziario o gestionale eccessivo per l’azienda, tenendo conto delle sue dimensioni, risorse e della possibilità di ricorrere a sostegni pubblici. La Corte sottolinea che senza un simile obbligo l’effetto utile della tutela contro la discriminazione indiretta verrebbe svuotato, poiché il caregiver si troverebbe comunque impossibilitato a conciliare lavoro e assistenza. La sentenza non offre una nozione precisa di caregiver; nel nostro ordinamento, una definizione di caregiver familiare si trova nella legge 205/2017, che, all’articolo 1, comma 255, lo individua nella persona che si prende cura di un coniuge, di un componente dell’unione civile o di un familiare, che a causa di malattia, infermità o disabilità non sia autosufficiente e in grado di compiere gli atti della vita quotidiana. La pronuncia ha una portata molto ampia, in quanto applica il principio della parità di trattamento non in ragione di una categoria di persone, ma del motivo di discriminazione vietato (la disabilità); in questo modo, il diritto dell’Unione non solo tutela le persone disabili, ma garantisce anche a chi se ne prende cura la possibilità di lavorare senza subire svantaggi indiretti, imponendo al datore di lavoro accomodamenti ragionevoli.

Fonte: SOLE24ORE