Nel licenziamento per sopravvenuta inidoneità fisica, l'obbligo di “accomodamento ragionevole” impone al datore di lavoro di trovare all'interno dell'impresa misure organizzative ragionevoli, volte a preservare il posto del lavoratore con disabilità. A dichiararlo è la Corte di Cassazione con ordinanza 18 agosto 2025 n. 23481. Nel caso in esame, un autista, addetto alla consegna, al ritiro e al trasporto di plichi o colli, a seguito di un infortunio, veniva dichiarato “idoneo alla mansione ma con le limitazioni per colli di peso superiore ai 15 kg”. Questi, licenziato dalla propria datrice di lavoro per inidoneità fisica sopravvenuta, impugnava giudizialmente il provvedimento espulsivo. La Corte d'appello territorialmente competente, nell'ambito del procedimento ex L. 92/2012 ed in riforma della pronuncia di primo grado, dichiarava il licenziamento illegittimo ed ingiustificato. Disponeva la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e la condanna della società al pagamento in suo favore di una indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR dal dì del licenziamento a quello dell'effettiva reintegra, oltre al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali. Secondo la Corte distrettuale alla fattispecie di che trattasi era applicabile ratione temporis l'art. 3 c. 3 bis D.Lgs. n. 216/2003 ed il licenziamento poteva essere evitato mediante un “accorgimento o un adattamento ragionevole”, tale da porre il lavoratore “in condizioni di parità (….) rispetto ad un dipendente sano con piena capacità lavorativa”. La società soccombente impugnava in cassazione la decisione di merito a cui resisteva con controricorso il lavoratore. Chiamata a pronunciarsi, la Corte di Cassazione ha sottolineato che, secondo una consolidata giurisprudenza, in caso di licenziamento per inidoneità fisica sopravvenuta, in capo al datore di lavoro non grava solo l'onere del repêchage. Infatti, qualora trovi applicazione l'art. 3 c. 3 bis D.Lgs. 216/2003, lo stesso deve anche dimostrare di aver adempiuto all'obbligo di accomodamento ragionevole, pena l'illegittimità del provvedimento espulsivo. La predetta disposizione normativa prevede che “al fine di garantire il rispetto del principio della parità di trattamento delle persone con disabilità, i datori di lavoro (…) sono tenuti ad adottare accomodamenti ragionevoli, come definiti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ratificata ai sensi della legge 3 marzo 2009, n. 18 nei luoghi di lavoro, per garantire alle persone con disabilità la piena eguaglianza con gli altri lavoratori (…)”. In sostanza, se il lavoratore dimostra di trovarsi in una condizione di disabilità - intesa, secondo il diritto dell'Unione Europea, come limitazione, risultante da menomazioni fisiche, mentali o psichiche durature – è il datore di lavoro a dover provare di aver adempiuto all'obbligo di “accomodamento” o che l'inadempimento è dovuto a causa ad esso non imputabile. Non è sufficiente che il datore di lavoro alleghi e provi che non fossero presenti in azienda posti disponibili in cui ricollocare il lavoratore, come avverrebbe nel caso di un ordinario repêchage. Un simile approccio finirebbe per sovrapporsi all'onere di dover dimostrare l'impossibilità di adibire il disabile a mansioni equivalenti o inferiori compatibili con il suo stato di salute. Allo stesso modo, non può ritenersi che spetti al lavoratore, né tantomeno al giudice, individuare in giudizio le possibili modifiche organizzative che avrebbe potuto costituire un “accomodamento ragionevole” in grado di salvaguardare il posto di lavoro. Una simile impostazione sovvertirebbe l'onere probatorio, comportando una collaborazione nella individuazione di possibili soluzioni che non è prevista neanche per il repêchage ordinario in mansioni inferiori, oramai esteso anche alle ipotesi di licenziamento per riorganizzazione aziendale. Al fine di non sconfinare in forme di responsabilità oggettiva per verificare l'adempimento dell'obbligo di cui all'art. 3 c. 3 bis D.Lgs. 216/2003, occorre avere presente il comportamento dovuto. Esso si caratterizza non tanto, in negativo, per il divieto di tenere comportamenti lesivi del principio della parità di trattamento, quanto piuttosto, in senso positivo, come ricerca di misure organizzative ragionevoli idonee a consentire lo svolgimento di un'attività lavorativa, altrimenti preclusa, a persona con disabilità. E il datore di lavoro può assolvere ad esso mediante l'allegazione di atti o condotte strumentali alla realizzazione dell'accomodamento ragionevole, che assumono il “rango” di elementi secondari di tipo indiziario o presuntivo. Tali elementi devono essere idonei a fondare nel giudice il convincimento che il datore abbia compiuto uno sforzo diligente ed esigibile per trovare una soluzione organizzativa volta ad evitare il licenziamento, avuto riguardo alle specifiche circostanze del caso concreto. E', altresì, possibile per il datore di lavoro dimostrare che eventuali soluzioni alternative, pur possibili, fossero prive di ragionevolezza, in quanto lesive di interessi comparativamente preminenti o sproporzionate o eccessivamente onerose, sia sotto il profilo economico che in relazione alle dimensioni e alle risorse dell'impresa. Orbene, nel caso di specie la Corte di Cassazione rileva che la società non ha posto in essere, né tantomeno allegato, atti o operazioni strumentali rispetto all'avveramento dell'accomodamento ragionevole, idonei ad assumere rilevanza indiziaria o presuntiva e a dimostrare uno sforzo diligente ed esigibile teso ad individuare una soluzione organizzativa idonea a scongiurare il licenziamento. La Corte di Cassazione conclude, quindi, per il rigetto del ricorso presentato dalla società, condannandola alle spese di lite.
Fonte: QUOTIDIANO PIU' - GFL