Lavoro familiare: subordinazione e onerosità da provare anche se non c’è convivenza
- 2 Settembre 2025
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Il difetto di convivenza tra familiari non è idoneo a escludere la presunzione di gratuità delle prestazioni di lavoro del familiare non convivente. L’onere di provare la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato ricade sulla parte privata interessata. Non può incombere, al contrario, sull’organo ispettivo, l’onere di fornire la prova dell’insussistenza dei requisiti qualificanti il lavoro subordinato. Sono le conclusioni cui è pervenuta la Sezione Lavoro della Cassazione con l’ordinanza 23919/2025, depositata lo scorso 26 agosto. Anche se la vertenza vagliata ha riguardato il disconoscimento, da parte dell’Inps, di un rapporto di lavoro instaurato tra padre e figlio non conviventi nel settore agricolo, le decisioni dei giudici di legittimità hanno riflessi generali sulla disciplina del lavoro subordinato. La Corte di legittimità ha ribadito che, nell’accertamento del rapporto di lavoro fra soggetti legati da vincolo di parentela, è indispensabile dimostrare non soltanto la subordinazione, in tutti i suoi elementi caratterizzanti, ma anche l’onerosità. Ciò, indipendentemente dalla circostanza che i familiari siano o meno conviventi. Infatti, se nel caso di convivenza vige la presunzione di gratuità fondata su esigenze solidaristiche e di collaborazione endofamiliare, «in caso di non convivenza, non vigendo una presunzione contraria di onerosità del rapporto, occorre dimostrare, con rigore, tutti gli elementi della subordinazione, fra i quali l’onerosità». Pertanto, la parte che intenda far valere i diritti derivanti dal rapporto di lavoro «ha comunque l’obbligo di dimostrarne, con prova precisa e rigorosa, tutti gli elementi costitutivi e, in particolare, i requisiti indefettibili della onerosità e della subordinazione». Provare l’onerosità dei rapporti di lavoro per i periodi successivi al 1° luglio 2018, considerato l’obbligo di pagamento tracciabile delle retribuzioni introdotto dalla legge di Bilancio 2018, è certamente più agevole non essendo sufficiente, a tal fine, la “busta paga”, contenente soli elementi formali. Nel caso vagliato dalla Cassazione, invece, il (padre) datore di lavoro aveva sostenuto di aver pagato in contanti il (figlio) lavoratore. Ritornando al riparto dell’onere della prova, è stato chiarito che lo stesso non può ricadere sull’organo ispettivo in forza del potere di autotutela spettante, in via generale, alle pubbliche amministrazioni che le legittima a compiere atti di verifica, di rettifica e di valutazione di situazioni giuridiche preesistenti, compreso l’annullamento d’ufficio, con effetto “ex tunc”, di qualsiasi provvedimento che risulti “ab origine” adottato in contrasto con la normativa vigente. Giova ricordare che nel nostro ordinamento non è esclusa, a priori, la possibilità di instaurare rapporti di lavoro subordinato tra familiari. L’articolo 230-bis del Codice civile, infatti, riconosce all’impresa familiare natura suppletiva e residuale rispetto ad «un diverso rapporto» quale, fra gli altri, quello di cui al successivo articolo 2094 rubricato «Prestatore di lavoro subordinato».
Fonte: SOLE24ORE