Indennità di disoccupazione legittima se non si riottiene il posto di lavoro
- 2 Settembre 2025
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A seguito di una sentenza che riconosce il diritto alla reintegra nel posto di lavoro, il licenziato che percepisce l’indennità di disoccupazione non la deve restituire in assenza di una effettiva ripresa dell’attività lavorativa, con conseguente retribuzione. Le sezioni unite della Corte di cassazione, con la sentenza 23476/2025, ritengono che si debba adottare l’orientamento giurisprudenziale che valorizza una lettura della situazione occupazionale effettiva rispetto a quello che fa prevalere l’aspetto giuridico. Alcuni lavoratori sono stati licenziati e hanno percepito l’indennità di mobilità. L’ordine di reintegrazione non è stato concretizzato in quanto l’azienda è fallita. Secondo Inps, i lavoratori avrebbero dovuto restituire l’indennità e, per tutelare i loro diritti economici, avrebbero potuto chiedere l’intervento del Fondo di garanzia secondo quanto previsto dal Dlgs 80/1992. La posizione dell’istituto di previdenza si basa su un orientamento di legittimità secondo cui «la pronuncia giudiziale» ha «effetti ex tunc sulla operatività del rapporto di lavoro che, una volta ricostituito de iure, non può lasciare spazio ad una ipotesi di disoccupazione e dunque al legittimo mantenimento della indennità relativa». Le sezioni unite, però, propendono per l’altra interpretazione, che valorizza la situazione de facto. I giudici partono dall’articolo 38, comma 2, della Costituzione, contenente i principi di tutela dei lavoratori che, anche in caso di disoccupazione involontaria, si trovano senza mezzi di sostentamento adeguati alle esigenze di vita. «La finalità da realizzare è dunque prospettata nell’ottica di garantire effettivamente forme di adeguatezza economica in situazioni oggettive che non la consentano...il concetto di disoccupazione involontaria deve quindi essere inteso nella sua accezione fattuale solo ricollegata allo status di lavoratore privato della possibilità di svolgere la prestazione di lavoro e, di conseguenza, privato della retribuzione». Ne consegue che a fronte di una sentenza che dispone la reintegrazione nel posto di lavoro, se la stessa non viene attuata, è legittimo il pagamento dell’indennità di disoccupazione e Inps non può procedere al recupero della stessa. A sostegno di questa conclusione, le sezioni unite richiamano la sentenza 90/2024 della Corte costituzionale in cui è stato stabilito che, in caso di erogazione della Naspi una tantum quale forma di aiuto all’autoimprenditorialità e di successivo svolgimento di attività di lavoro subordinato, deve essere restituita solo la parte di Naspi che corrisponde al periodo di lavoro subordinato e non l’intera somma. Rafforza inoltre tale lettura il fatto che, in base alla legge 223/1991, al lavoratore che accetti un impiego a tempo parziale o determinato venga sospesa l’indennità di mobilità ma conservi l’iscrizione nelle liste di mobilità, perché la situazione da tutelare non viene meno nel suo complesso. Quanto al Fondo di garanzia, i giudici evidenziano che lo stesso interviene solo a fronte di una procedura onerosa per il lavoratore e consente al massimo il riconoscimento di tre mensilità. Infine, richiamando la sentenza 28295/2019, viene affermato che è ininfluente l’eventuale inerzia del lavoratore interessato nel portare a esecuzione una sentenza a lui favorevole, in questo caso quella che ha disposto la reintegrazione.
Fonte: SOLE24ORE