Fuori dal comporto le assenze per Covid anche se senza quarantena

Fuori dal comporto le assenze per Covid anche se senza quarantena

  • 8 Agosto 2025
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Va intesa in senso ampio l’esclusione dal periodo di comporto delle assenze per Covid stabilita dall’articolo 26, comma 1, del decreto legge 18/2020. Tale disposizione, infatti, rientra in una «disciplina volta al contenimento della pandemia anche a tutela della parte datoriale». Sulla base di questa valutazione, la Corte di cassazione, con l’ordinanza 22552/2025, ha confermato la nullità del licenziamento intimato a un lavoratore che ha superato il periodo massimo di assenza anche per effetto di alcuni giorni in cui non ha lavorato in quanto, secondo il ricorso dell’azienda, il medico ha prescritto l’astensione «per febbre e tosse in attesa di tampone ricerca Sars Cov-2, senza che sia stata disposta nei suoi confronti alcuna misura di contenimento dell’infezione da Covid-19, né tantomeno sia stata accertata scientificamente la sussistenza di tale patologia». L’articolo 26 del Dl 18/2020 ha previsto che «fino al 31 dicembre 2021, il periodo trascorso in quarantena con sorveglianza attiva o in permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva...dai lavoratori dipendenti del settore privato, è equiparato a malattia ai fini del trattamento economico previsto dalla normativa di riferimento e non è computabile ai fini del periodo di comporto». Secondo il datore di lavoro, la Corte d’appello, nel ribaltare al sentenza di primo grado, ha esteso l’applicazione dell’articolo 26 a un caso non contemplato dalla norma. La Cassazione, però, ricorda che il giudice di merito può formare il suo convincimento anche sulla base di presunzioni semplici e spetta a lui individuare i fatti certi da porre a fondamento del ragionamento e procedere a una valutazione complessiva di tutti gli elementi indiziari. Per contrastare la conclusione a cui è giunto, occorre far emergere «l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio». La Cassazione ha anche rigettato il secondo motivo di ricorso, basato sul fatto che il dipendente, su richiesta dell’azienda, non ha indicato quali giorni di assenza dovevano essere scomputati dal periodo di comporto, fino a che ha avviato il contenzioso giudiziario. Ma la Suprema corte richiama il principio espresso nella decisione 12272/2025, secondo cui «la causa di non computabilità delle assenze ai fini del comporto stabilità dall’articolo 26 in discorso, opera oggettivamente e, quindi, non deve essere portata a conoscenza del datore di lavoro per escluderne la computabilità».

Fonte: SOLE24ORE