Repêchage senza obbligo di formazione e con possibilità di ridurre lo stipendio
- 31 Luglio 2025
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L’obbligo di repêchage e il mutamento delle mansioni consentito dall’articolo 2103 del Codice civile hanno finalità diverse e differenti obblighi per il datore di lavoro e tutele per il lavoratore. Lo ha chiarito la Corte di cassazione nell’ordinanza 19556/2025. Nel caso deciso dalla Corte, un lavoratore ha rifiutato la proposta di adibizione a mansioni di livello inferiore con corrispondente riduzione della retribuzione. A fronte del rifiuto, la società ha proceduto al licenziamento, ritenuto legittimo dalla Corte d’appello e, ora, confermato dalla Cassazione. Secondo la Corte, l’adempimento dell’obbligo di repêchage risultava soddisfatto dall’offerta datoriale di mansioni inferiori, essendo documentata l’impossibilità di ricollocazione in altre mansioni dello stesso livello nonché l’assenza di nuove assunzioni successivamente al recesso. Il profilo saliente dell’ordinanza si rinviene nella chiara affermazione della Corte secondo cui l’ambito di operatività dell’obbligo di repêchage si pone su un piano distinto e autonomo rispetto al mutamento di mansioni disciplinato dall’articolo 2103 del Codice civile. La norma codicistica, infatti, regola l’esercizio dello ius variandi datoriale in costanza di rapporto e consente l’adibizione unilaterale a mansioni inferiori di un livello soltanto in presenza di modifiche dell’assetto organizzativo aziendale, nel rispetto della categoria legale e con conservazione del trattamento retributivo in godimento. In questo contesto, l’interesse tutelato è quello del datore di lavoro, entro determinati limiti, a una gestione flessibile delle risorse. Diversa è la funzione del repêchage, che interviene in una fase diversa del rapporto per evitare il licenziamento. In questo caso l’interesse tutelato è quello del lavoratore alla conservazione del posto di lavoro, anche a costo della dequalificazione e della riduzione del trattamento retributivo. Per questa ragione, nel contesto del repêchage non si applicano le limitazioni poste dall’articolo 2103: ciò che rileva è esclusivamente la possibilità, oggettiva e concreta, di reimpiegare il lavoratore in mansioni compatibili con le competenze maturate, senza obbligo di attivare percorsi formativi specifici. Tale distinzione trova conferma nelle ordinanze 17036/2024 e 10627/2024, entrambe richiamate dalla Cassazione: esse ribadiscono che l’obbligo di repêchage è limitato alle posizioni accessibili in base alla professionalità già acquisita dal lavoratore, escludendo ogni dovere di riqualificazione o formazione ex novo; obbligo invece previsto in relazione allo ius variandi secondo l’articolo 2103, terzo comma, del Codice civile. In definitiva, la Cassazione chiarisce che l’obbligo di repêchage e l’articolo 2103 rispondono a logiche autonome e distinte. Il primo ha funzione conservativa del posto di lavoro, imponendo al datore una verifica concreta sulla possibilità di reimpiego del dipendente in mansioni (anche inferiori) compatibili con la professionalità già acquisita e con possibile riduzione della retribuzione, senza necessità di particolare formazione o riqualificazione; il secondo opera in costanza di rapporto, per esigenze organizzative del datore di lavoro, e consente (in caso di variazione degli assetti organizzativi che incida sulla posizione del lavoratore) l’assegnazione a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore, purché riconducibili alla medesima categoria legale, con obbligo per il datore di lavoro di assolvere l’obbligo formativo in relazione alle nuove mansioni e con conservazione del trattamento retributivo.
Fonte: SOLE24ORE