Filiere di appalti: le tutele contro caporalato e lavoro nero

Filiere di appalti: le tutele contro caporalato e lavoro nero

  • 25 Luglio 2025
  • Pubblicazioni
Sono diventati piuttosto frequenti i provvedimenti di amministrazione giudiziaria per violazioni gravi delle condizioni di lavoro quando si configura il reato di caporalato, ai sensi dell'art. 603-bis c.p., che in caso di filiera di appalti, coinvolgono i committenti capofila, ai quali vengono contestati l'omesso controllo dei subappaltatori, l'assenza di verifica della liceità delle condizioni di lavoro e, di conseguenza, l'agevolazione del caporalato, quale condotta colposa grave che configura il loro coinvolgimento nella realizzazione della fattispecie di reato. Ciò anche in assenza di una attività dolosa o una responsabilità colposa diretta, quando comunque si ritiene sussistente la condotta – colposa e grave – determinata dalla mancata previsione di una organizzazione efficiente, in grado di prevenire e comunque di impedire la proliferazione di fenomeni di sfruttamento. Al netto dell'intervento del giudice penale e della configurabilità delle fattispecie di reato, il controllo delle condizioni di lavoro nell'ambito delle filiere di appalti è un obiettivo dichiarato e risalente del legislatore, con il coinvolgimento del committente principale che da sempre, in maniera sempre più stringente, ha costituito un esperimento di garanzia delle condizioni dei lavoratori. La tutela delle condizioni dei lavoratori: il regime di solidarietà. Come previsto dall'art. 29 c. 2 D.Lgs. 276/2003, in caso di appalto di opere o di servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l'appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell'appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto, restando escluso qualsiasi obbligo per le sanzioni civili di cui risponde solo il responsabile dell'inadempimento. La norma si preoccupa di garantire una delle pretese fondamentali dei lavoratori; l'adempimento della obbligazione retributiva e contributiva, ampliando il novero dei soggetti obbligati, rendendo così più probabile la soddisfazione, in caso di inadempimento spontaneo dell'obbligato principale. La garanzia opera in maniera implicita pure sui requisiti degli appaltatori e subappaltatori, la cui scelta sarà ragionevolmente meglio ponderata dai committenti, in vista della loro possibile chiamata in corresponsabilità. Il regime di solidarietà opera a prescindere dalla genuinità del contratto di appalto o della regolarità dei rapporti di lavoro coinvolti, pertanto tutela tutti i lavoratori impiegati in un determinato appalto e nell'eventuale subappalto e, pertanto, anche con riferimento ai lavoratori “in nero”, ossia i lavoratori “non risultanti dalle scritture o altra documentazione obbligatoria” (Min.Lav. Circ. n. 5/2011). Il committente che ha eseguito il pagamento è tenuto, ove previsto, ad assolvere gli obblighi del sostituto d'imposta ai sensi delle disposizioni del DPR 600/1973, e può esercitare l'azione di regresso nei confronti del coobbligato secondo le regole generali. La garanzia delle condizioni di lavoro. Con l'introduzione del comma 1-bis dell'art. 29 D.Lgs. 276/2003, è previsto che “al personale impiegato nell'appalto di opere o servizi e nel subappalto spetta un trattamento economico e normativo complessivamente non inferiore a quello previsto dal contratto collettivo nazionale e territoriale stipulato dalle associazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, appintermlicato nel settore e per la zona strettamente connessi con l'attività oggetto dell'appalto e del subappalto”. Si realizza così un giro di vite importante nel percorso di liceità dei rapporti di lavoro nelle filiere degli appalti, che si caratterizza, oltre che per il rigore della previsione, che prefigura la regolarità dell'appalto imponendo condizioni giuridiche ed economiche minime per le condizioni dei lavoratori coinvolti, soprattutto per la natura del suo intervento, che avviene ex ante. Prima ancora della prescrizione di tutele per le violazioni successive allo svolgimento dell'appalto (come accade per il regime solidale o per l'apparato sanzionatorio), viene imposto un determinato standard cui ogni appalto deve uniformarsi, sin dalla costituzione del rapporto di appalto e di lavoro nell'appalto stesso. Obblighi ovviamente estesi ad ogni subappaltatore. Il trattamento economico e normativo da garantire ai lavoratori coinvolti nell'appalto è “quello previsto dal contratto collettivo nazionale e territoriale stipulato dalle associazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, applicato nel settore e per la zona strettamente connessi con l'attività oggetto dell'appalto e del subappalto”. È individuato un parametro, concreto, rappresentato dal contratto collettivo immediatamente applicabile alla fattispecie per la quale è stipulato l'appalto, che, con adeguata certezza, consenta di assicurare le condizioni, economiche e normative, che possano costituire un valido termine di paragone per tutti i lavoratori, ed al quale ricondurre quelle di coloro che sono coinvolti nell'appalto, che devono poter pretendere un trattamento non inferiore. Si impedisce così che il ricorso alla esternalizzazione attraverso l'appalto possa risolversi in un strumento, specioso, di risparmio sul costo del lavoro, con il sacrificio delle legittime pretese dei lavoratori. L'apparato sanzionatorio. Qualsiasi sistema normativo, soprattutto quando destinato a prescrivere condizioni di tutela, non può prescindere dall'accompagnare le previsioni di sistema con un adeguato impianto sanzionatorio, utile a garantirne l'efficacia, attraverso il ricorso alla sua applicazione forzosa e/o spiegare effetti dissuasivi con specifiche sanzioni. Nell'ambito dell'appalto se ne registrano, oltre al premesso reato di intermediazione illecita e caporalato, di natura civilistica, amministrativa, penale. Il comma 3-bis dell'art. 29 D.Lgs. 276/2003, prevede che “quando il contratto di appalto sia stipulato in violazione di quanto disposto dal comma 1 (e dunque non genuino per mancanza della autonomia dei rapporti, della organizzazione imprenditoriale e dell'assunzione del rischio d'impresa, ndr), il lavoratore interessato può chiedere, mediante ricorso al giudice del lavoro, notificato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest'ultimo". Inoltre, secondo quanto previsto dall'art. 18 D.Lgs. 276/2003, così come modificato dal DL 19/2024, convertito con modificazioni dalla L. 56/2024: "Nei casi di appalto privo dei requisiti di cui all'articolo 29, comma 1, l'utilizzatore e il somministratore sono puniti con la pena dell'arresto fino a un mese o dell'ammenda di euro 60 per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di occupazione. Se vi è sfruttamento dei minori, la pena è dell'arresto fino a diciotto mesi e l'ammenda è aumentata fino al sestuplo. Gli importi delle sanzioni, che non possono essere inferiori a 5.000 euro né superiori a 60.000 euro, sono aumentati del venti per cento ove, nei tre anni precedenti, il datore di lavoro sia stato destinatario di sanzioni penali per i medesimi illeciti."

Fonte: QUOTIDIANO PIU' - GFL