Licenziamento per ingiuria seriale
- 25 Luglio 2025
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Con l'ordinanza n. 21103 del 24 luglio 2025, la Corte di Cassazione ha affermato la legittimità del licenziamento per giusta causa di una lavoratrice che aveva rivolto un epiteto volgare (leccaculo, alla presenza di altra dipendente e contestualmente al rifiuto di adempiere una direttiva) a un superiore gerarchico. La pronuncia offre spunti di riflessione sul peso dei precedenti disciplinari nella valutazione della gravità della condotta. Il fulcro della decisione non risiede nella mera ingiuria, ma nella sua qualificazione come "grave insubordinazione" , un comportamento idoneo a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario. Di particolare rilievo è il valore attribuito a un precedente disciplinare della dipendente, sebbene risalente e non utilizzabile ai fini di una recidiva formale. La Suprema Corte ha avallato l'impostazione dei giudici di merito, che hanno considerato tale precedente come un "indice della facilità con la quale la dipendente trascende nell’uso di toni e termini chiaramente offensivi" . Il precedente, quindi, non opera come elemento costitutivo dell'addebito, ma come criterio per valutare la personalità della lavoratrice e l'intensità dell'elemento soggettivo dell'infrazione attuale. Questa "inclinazione all'insulto" rafforza la valutazione di irrimediabile lesione della fiducia, rendendo proporzionata la massima sanzione espulsiva. La Corte ribadisce, inoltre, che l'elencazione delle ipotesi di giusta causa nei CCNL ha carattere meramente esemplificativo, non precludendo al giudice un'autonoma valutazione della gravità del fatto in concreto. L’ordinanza conferma il principio secondo cui la storia disciplinare del lavoratore, anche al di fuori dei limiti della recidiva, è un fattore rilevante per misurare la gravità di un inadempimento e la sua attitudine a giustificare il recesso.