Inversione della prova per il licenziamento dopo il whistleblowing

Inversione della prova per il licenziamento dopo il whistleblowing

  • 24 Luglio 2025
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Il Dlgs 24/2023, che ha attuato la direttiva europea 2019/1937 sul whistleblowing, ha introdotto nel nostro ordinamento una protezione rafforzata per i lavoratori che effettuano una segnalazione utilizzando il canale di whistleblowing, disciplinando specificamente all’articolo 17 l’onere della prova in caso di licenziamento ritorsivo. Elemento innovativo di particolare rilevanza è l’inversione dell’onere probatorio: una volta dimostrata la segnalazione di whistleblowing, si presume che il successivo licenziamento (ma il principio ha carattere generale e trova applicazione a un ampio elenco di atti datoriali) abbia natura ritorsiva, con la conseguenza che l’onere di provare che la decisione è motivata da ragioni estranee alla segnalazione è a carico del datore di lavoro. Questa inversione dell’onere probatorio rappresenta un significativo rafforzamento della tutela rispetto al regime precedente, nel quale spettava al lavoratore dimostrare che il licenziamento era stato motivato esclusivamente dall’intento ritorsivo, fornendo la dimostrazione di elementi tali da far ritenere, con sufficiente certezza, l’intento di rappresaglia (motivo illecito) e l’assenza di altre ragioni lecite determinanti (esclusività del motivo). Nel nuovo regime normativo, invece, il licenziamento si presume – salvo prova contraria - ritorsivo per solo il fatto di essere stato irrogato nei confronti di un lavoratore segnalante e la conseguente mancata dimostrazione da parte del datore di lavoro dell’esistenza di ragioni diverse ed estranee alla segnalazione comporta di per sé la nullità del licenziamento, con conseguente applicazione della reintegrazione nel posto di lavoro e del pagamento di tutte le retribuzioni pregresse. Così il Tribunale di Milano, nella sentenza 1680/2025 del 6 giugno, ha ritenuto che l’irrilevanza disciplinare e l’insussistenza dei fatti addebitati, unitamente alla stretta contiguità temporale tra la segnalazione di whistleblowing e l’avvio del procedimento disciplinare, siano di per sé indici chiari dell’intento ritorsivo del provvedimento espulsivo. Il Tribunale ha altresì chiarito che non è rilevante il contenuto specifico della denuncia di whistleblowing, essendo sufficiente constatarne l’esistenza e la data di presentazione per attivare la protezione normativa e la conseguente inversione dell’onere della prova. La controversia ha avuto origine dall’impugnazione di un licenziamento per giusta causa irrogato per una serie di asserite condotte negligenti nello svolgimento dell’attività lavorativa. Il lavoratore ha lamentato la natura ritorsiva del suddetto licenziamento, esponendo che è stato determinato dalla volontà di liberarsi di lui per aver espresso una valutazione negativa sul rapporto con la sua responsabile e per essersi avvalso della procedura interna di whistleblowing. Il Tribunale, accertato che il dipendente ha effettivamente effettuato la segnalazione con la procedura di whistleblowing e ritenuto che i fatti contestati fossero generici e irrilevanti sul piano disciplinare, nonché strettamente contigui alla segnalazione, ha applicato il regime di inversione dell’onere della prova e dichiarato la nullità del licenziamento in quanto derivato da motivo illecito determinante in base all’articolo 1345 del Codice civile, con conseguente applicazione della tutela reintegratoria secondo l’articolo 2, comma 1, del Dlgs 23/2015.

Fonte: SOLE24ORE