La nomina a consigliere di amministrazione non esclude la subordinazione

La nomina a consigliere di amministrazione non esclude la subordinazione

  • 21 Luglio 2025
  • Pubblicazioni
La sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato non può essere elusa dal formale inquadramento del rapporto attraverso la nomina a consigliere di amministrazione quando la realtà fattuale dimostri l’esistenza di indici tipici della subordinazione, quali l’assoggettamento al potere direttivo e gerarchico del datore di lavoro, l’imposizione di un orario di lavoro, l’esercizio del potere disciplinare e l’eterodirezione nella esecuzione delle prestazioni. Così il Tribunale di Massa, Sezione Lavoro, che, con sentenza 177 del 23 giugno 2025, ha accertato l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato formalmente mascherato dietro la carica di consigliere di amministrazione e per l’effetto ha condannato la società a pagare le differenze retributive scaturenti dal Ccnl di settore, i contributi previdenziali, l’indennità sostitutiva del preavviso, nonché l’indennità risarcitoria per licenziamento illegittimo per l’inosservanza delle norme procedurali previste dall’articolo 7 dello Statuto dei lavoratori. La controversia trae origine dalla richiesta di riconoscimento della natura subordinata di un rapporto di lavoro formalmente configurato come nomina a consigliere di amministrazione di un’agenzia immobiliare. La ricorrente deduceva di aver ricoperto formalmente la carica sociale per circa un anno, durante il quale aveva prestato attività lavorativa quotidiana per 8 ore giornaliere per 6 giorni la settimana, ricevendo istruzioni unidirezionali dettagliate e precise sull’attività concreta da svolgere, sul modo di comportarsi con la clientela e finanche di vestirsi, a fronte di un compenso mensile fisso garantito. Il rapporto si era poi concluso con la revoca della carica sociale comunicata mediante raccomandata motivata con la contestazione di asseriti comportamenti non coerenti con l’impegno assunto in qualità di consigliere. Il Tribunale, sulla base dei messaggi WhatsApp e delle registrazioni vocali prodotte (ritenute prove idonee ad assolvere l’onere probatorio gravante sul lavoratore) ha ritenuto dimostrata l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato “mascherato” dalla nomina a consigliere di amministrazione, con conseguente riqualificazione del rapporto come subordinato, riconoscimento delle differenze retributive derivanti dall’applicazione del Ccnl di settore e correlata regolarizzazione contributiva. Quanto alla nullità o illegittimità della risoluzione del rapporto, rilevato che la revoca della carica consigliare e la cessazione di qualsiasi collaborazione era stata comunicata alla lavoratrice con raccomandata, il Tribunale ha escluso che, nella prospettiva del rapporto riqualificato come subordinato, il licenziamento potesse dirsi affetto da nullità perché asseritamente intimato in forma orale. Rilevato, tuttavia, che il licenziamento (per le ragioni addotte nella comunicazione di revoca della carica consigliare) avrebbe avuto carattere disciplinare, il Tribunale ne ha fatto discendere la sua illegittimità per omissione del procedimento di cui all’articolo 7 dello Statuto dei lavoratori (che impone al datore di lavoro, una volta contestati gli addebiti al lavoratore, di sentirlo a sua difesa e comunque con il rispetto della procedura prevista dalla surrichiamata norma), con conseguente riconoscimento dell’indennità sostitutiva del preavviso e dell’indennità risarcitoria per licenziamento illegittimo. Infine, il Tribunale ha respinto la richiesta di risarcimento danni a favore della ricorrente per la perdita della Naspi (di cui avrebbe potuto usufruire se fosse stata assunta con un contratto coerente con l’attività prestata), non avendo la lavoratrice provato (come era suo onere) la sussistenza dei relativi presupposti (requisiti contributivi e persistente stato di disoccupazione involontaria).

Fonte: SOLE24ORE