Legittime le sanzioni per omesso versamento dei contributi fino a 10mila euro

Legittime le sanzioni per omesso versamento dei contributi fino a 10mila euro

  • 9 Luglio 2025
  • Pubblicazioni
Non è illegittima la previsione normativa secondo cui il datore di lavoro che manca di versare le ritenute previdenziali e assistenziali sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, entro la soglia di 10.000,00 euro annui, è punito con una sanzione amministrativa pecuniaria da una volta e mezza a quattro volte l’importo omesso. Con la sentenza 103/2025, la Corte costituzionale ha esaminato uno specifico profilo di costituzionalità in merito alla ultima versione dell’articolo 2, comma 1-bis, del decreto legge 463/1983, come modificato dall’articolo 23, comma 1, del decreto legge 48/2023. La norma è frutto di una modifica del testo precedente, che prevedeva il pagamento, per ciascun anno, di una sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 a 50.000 euro, già sospettata di illegittimità costituzionale. Nonostante la modifica, il giudice rimettente ha ritenuto ancora validi i dubbi di legittimità, in quanto il minimo edittale stabilito, non graduabile in relazione alle condizioni soggettive del trasgressore, condurrebbe a un esito sanzionatorio sproporzionato rispetto alla gravità dell’illecito, con conseguente violazione dell’articolo 3 Costituzione sotto il profilo del principio di ragionevolezza (tassatività del minimo). Tale disciplina, nella sua rigidità, non riuscirebbe inoltre a graduare la risposta sanzionatoria in relazione agli inadempimenti causati da circostanze esterne (difficoltà finanziarie) e risulterebbe anche più gravosa rispetto alle conseguenze penali, adottando la conversione della pena detentiva secondo il criterio di conguaglio previsto dall’articolo 53 della legge 689/1981. La Corte ritiene infondate le questioni sollevate. In via preliminare occorre sempre ricordare che, in materia risposte a comportamenti illeciti, il legislatore gode di ampia discrezionalità nella determinazione delle pene applicabili in caso di reati, e a maggior ragione anche in caso di sanzioni amministrative; il limite naturale è rappresentato da un giudizio generale di congruità tra la sanzione e la gravità dell’illecito sanzionato (raffronto tra il bene protetto e il bene inciso dalla misura sanzionatoria). Secondo la Corte, in questo caso, la misura della sanzione non è irragionevole o arbitraria, in quanto la condotta alla quale l’ordinamento reagisce si realizza attraverso l’appropriazione o nella diversa destinazione di somme che sarebbero di pertinenza del lavoratore e che sono destinate in via prioritaria al finanziamento del sistema previdenziale e al pagamento di prestazioni essenziali (funzione delle ritenute previdenziali). In altri termini, il particolare disvalore della condotta si apprezza in quanto gli effetti ricadono sulla posizione particolarmente protetta del lavoratore, quale soggetto debole del rapporto, e titolare di una posizione giuridica di rango qualificato quanto alle forme di tutela. Sotto questo profilo, il fatto che sia contemplata una sanzione minima, anche a fronte di un ammontare modesto dell’inadempimento, è dato naturale a tutte le sanzioni, mentre la rilevanza della situazione soggettiva dell’autore dell’illecito può rilevare a monte, escludendone la responsabilità, e non ai fini della graduazione della sanzione. Nulla toglie, infatti, che in queste ipotesi si debba ravvisare la mancanza dell’elemento soggettivo e quindi si debba escludere l’illecito (articolo 3 della legge 689/1981). Quanto al profilo della comparazione con il trattamento penale, in caso di superamento della soglia di 10.000 euro, il raffronto proposto è di tipo aritmetico e prospetta una astratta possibilità di comminare per il reato una pena pecuniaria aritmeticamente inferiore rispetto alla sanzione amministrativa. Tale operazione di confronto, tuttavia, non può essere accettata, alla luce dei diversi meccanismi di comparazione che devono guidare l’interprete e poi il giudice delle leggi. Vengono, infatti, messe sullo stesso piano due diverse forme di responsabilità, quella penale e quella da illecito amministrativo, che tuttavia mantengono tratti distintivi ben visibili. La responsabilità penale ha un carattere complessivamente più afflittivo (anche per la stessa sottoposizione del trasgressore ad indagini), viene stabilita attraverso un giudizio, e può portare delle conseguenze indirette ben più onerose rispetto al semplice calcolo aritmetico derivante dalla conversione (per esempio l’incapacità a contrarre per un imprenditore), anche sotto il profilo della determinazione delle pene accessorie o dell’obbligo risarcitorio connesso. E poi la stessa possibilità di convertire la pena detentiva in pena pecuniaria non è oggetto di un automatismo, ma è frutto di una valutazione da parte del giudice nel caso concreto, con conseguenze assai gravose nel caso in cui la pena pecuniaria non sia oggetto di esecuzione. Insomma, si tratta di un giudizio astratto e come tale incapace di fondare un criterio comparativo stabile e corretto alla luce di un giudizio di costituzionalità della norma.

Fonte: SOLE24ORE