Permessi 104/92, la prova parziale non giustifica la sanzione espulsiva

Permessi 104/92, la prova parziale non giustifica la sanzione espulsiva

  • 9 Luglio 2025
  • Pubblicazioni
Con sentenza 731/2025, il Tribunale di Bologna si è pronunciato in tema di abuso dei permessi retribuiti ex articolo 33 della legge 104/1992, ritenendo illegittimo il licenziamento disciplinare nel caso in cui l’assenza di attività assistenziale risulti provata solo parzialmente e non in modo tale da escludere, nel complesso, lo svolgimento dell’assistenza al familiare disabile. Il caso era relativo ad un lavoratore, dipendente della società convenuta dal 2016 con mansioni di custode, che era stato licenziato per giusta causa il 14 novembre 2023 a seguito di una contestazione nella quale gli veniva addebitato l’indebito utilizzo dei permessi assistenziali in cinque giornate specifiche (28 luglio, 16 e 17 agosto, 29 settembre e 10 ottobre 2023), durante le quali, secondo la tesi datoriale, non avrebbe prestato alcuna assistenza alla madre affetta da morbo di Alzheimer. Sulla base di una relazione investigativa, la datrice di lavoro aveva contestato che in tali giornate il lavoratore si fosse dedicato ad attività personali (uscite con il cane, frequentazione di esercizi commerciali, permanenza nella propria abitazione o incontri con terzi), senza recarsi presso il domicilio dell’assistita. Il lavoratore contestava integralmente gli addebiti, sostenendo di aver sempre adempiuto al dovere di assistenza, anche svolgendo attività indirette nell’interesse della madre. All’esito dell’istruttoria, il Tribunale ha accertato che solo per due (16 e 17 agosto 2023) delle cinque giornate contestate sussisteva la prova dell’effettiva mancanza di attività assistenziale. In tali giorni, infatti, il lavoratore non era stato mai visto presso l’abitazione della madre, né risultava aver svolto altre attività riconducibili alla cura della stessa. Tuttavia, con riferimento a tali giornate, il Giudice ha attribuito rilievo alla particolare collocazione temporale dei permessi, evidenziando come essi fossero contigui a un periodo di chiusura aziendale per ferie collettive e che il lavoratore avesse acconsentito alla loro conversione da ferie ordinarie a permessi ex lege 104/92. Tale contesto, secondo il Tribunale, ha attenuato la gravità della condotta contestata, contribuendo a escludere la proporzionalità della sanzione espulsiva. Per le restanti giornate, invece, la prova dell’inadempimento non è risultata univoca: nel caso della giornata del 28 luglio 2023, la riconosciuta convivenza del ricorrente presso l’abitazione della madre poteva giustificare l’assenza di movimenti esterni osservabili dagli investigatori; quanto, invece, al 29 settembre 2023, l’interruzione del pedinamento a causa del traffico impediva una ricostruzione completa degli spostamenti del ricorrente, il quale avrebbe potuto, comunque, accedere all’abitazione della madre, prima dell’arrivo degli investigatori; infine, per la giornata del 10 ottobre 2023 è risultato documentalmente provato che il ricorrente si era recato presso il Caf per svolgere pratiche relative alla madre, attività che il Giudice ha qualificato come riconducibile nell’ambito dell’assistenza indiretta. Nel caso di specie, dunque, pur essendo emersa un’irregolarità nella fruizione dei permessi per due giornate, l’assenza di sistematicità, l’esistenza di attività di assistenza almeno parziale nelle altre giornate e le particolari circostanze aziendali hanno indotto il Tribunale a escludere la sussistenza della giusta causa di recesso, dichiarando l’illegittimità del licenziamento e applicando la tutela indennitaria ex articolo 3, comma 1, Dlgs 23/2015. La società è stata, dunque, condannata al pagamento di un’indennità pari a nove mensilità dell’ultima retribuzione, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali. La pronuncia si inserisce nel più recente orientamento giurisprudenziale che, pur riconoscendo la gravità di un uso improprio dei permessi ex lege 104/92, richiede una verifica rigorosa e puntuale del nesso causale tra l’assenza dal lavoro e l’effettiva assistenza al familiare disabile. Per le aziende, ciò implica la necessità di istruire in modo accurato ogni procedimento disciplinare, valorizzando elementi oggettivi, documentali e testimoniali, al fine di dimostrare non solo la difformità del comportamento rispetto alla finalità assistenziale, ma anche l’effettiva compromissione del vincolo fiduciario, condizione imprescindibile per sostenere la legittimità di un eventuale recesso per giusta causa.

Fonte: SOLE24ORE