Con la sentenza 713/2025, la Corte d’appello di Palermo si è pronunciata in punto di licenziamento per superamento del periodo di comporto e tutela antidiscriminatoria del lavoratore disabile. Il lavoratore aveva impugnato la sentenza di primo grado, innanzitutto, lamentando l’illegittimità del licenziamento per superamento del periodo di comporto, in quanto, in particolare, asseritamente discriminatorio perché frutto dell’applicazione automatica anche ai soggetti disabili del periodo di comporto previsto, in generale, dal Ccnl. La discriminazione sarebbe scaturita dalla mancata considerazione della maggiore morbilità connessa alla disabilità (da cui deriverebbe, per il soggetto disabile, rispetto agli altri lavoratori, il diritto a un più lungo periodo di conservazione del posto). Il primo Giudice, in tal contesto, avrebbe, però, errato, ritenendo il lavoratore gravato dell’onere probatorio (ritenuto non assolto) circa la riconducibilità delle assenze a patologie connesse con la disabilità, anziché il datore, e omettendo, quindi, di verificare se il datore medesimo avesse adempiuto agli obblighi informativi sulle patologie, ai fini di porre in essere «gli accomodamenti ragionevoli» (ad esempio, esclusione dal computo ai fini del comporto delle assenze connesse alla disabilità), ex articolo 5 bis legge 104 del 1992, da attivarsi prima di licenziare il disabile. Il Collegio palermitano ha come prima cosa ribadito il recente orientamento della Suprema Corte (Cassazione 6965/2025), secondo cui nei giudizi antidiscriminatori non vi è inversione dell’onere della prova, ma solo un’agevolazione nei confronti del ricorrente. Dunque, incombe sul lavoratore l’onere di allegazione del fattore di rischio, del trattamento ritenuto sfavorevole rispetto a soggetti in situazioni analoghe e, in particolare, della significativa correlazione tra tali elementi. Inoltre, la Corte ha statuito che, nella fattispecie in esame, il fattore di rischio cui si assumeva fosse collegato il comportamento datoriale discriminatorio (il licenziamento per superamento del periodo di comporto) non era soltanto lo stato disabilità in sé, quanto piuttosto il fatto che le patologie che avevano causato le ripetute assenze fossero connesse, in rapporto diretto ed immediato, con la disabilità stessa. Tale situazione complessivamente considerata (e non l’eccessiva morbilità) implicherebbe, infatti, per il lavoratore disabile, la particolare tutela normativa. Ciò premesso, il Collegio ha confermato il mancato assolvimento dell’onere probatorio in capo al lavoratore, non avendo lo stesso, in primo luogo, allegato in modo sufficientemente specifico il nesso di connessione diretta tra le patologie che avevano causato le assenze ed il suo stato di disabilità (definito in modo vago, senza riferimento a infermità specifiche) e, in secondo luogo, non avendo prodotto alcun documento tale da consentire al Giudice di accertare il predetto nesso (i certificati medici in atti erano, infatti, redatti solo in lingua croata e, pertanto, non intelligibili). La pronuncia in commento non smentisce l’orientamento (Cassazione 6497/2021, Cassazione 9095/2023, Cassazione 35747/2023, Cassazione 14316/2024) che riconosce il diritto del lavoratore disabile agli “accomodamenti ragionevoli” e impone relativi obblighi informativi in capo al datore; bensì, evidenzia come tali tutele sostanziali del lavoratore disabile debbano pur sempre necessariamente esser rivendicate nel rispetto, sul piano processuale, dell’onere di tempestiva allegazione e di prova. Proprio in applicazione di tali principi, la Corte ha rigettato l’impugnativa e, conseguentemente, tutte le domande del lavoratore.
Fonte: SOLE24ORE