Cessione di ramo d’azienda, se prevale la manodopera il dissenso blocca il trasferimento
- 3 Luglio 2025
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Nelle cessioni cosiddette “leggere”, per tali dovendosi intendere i trasferimenti di ramo d’azienda costituiti essenzialmente da manodopera e in assenza di mezzi materiali importanti, il dissenso dei lavoratori impedisce che si produca il loro passaggio automatico alle dipendenze del soggetto cessionario. In tal caso va affermato il diritto del lavoratore dissenziente alla prosecuzione del rapporto con il soggetto cedente. L’articolo 2112 del codice civile va letto in riferimento alle direttive comunitarie sui trasferimenti di imprese, dalle quali non si evince alcun obbligo del lavoratore alla prosecuzione del rapporto con il cessionario del ramo d’azienda. La Corte di giustizia Ue ha affermato con indirizzo consolidato che, nel contesto di una cessione di ramo d’azienda, i lavoratori possono opporsi al trasferimento del proprio rapporto di lavoro, nel quale caso è rimessa agli Stati membri la decisione se il contratto continui con il soggetto cedente o si consideri rescisso. Non è, invece, corretta la tesi per cui, se si verifica una cessione d’azienda in base all’articolo 2112 del codice civile, il rapporto dei lavoratori ricompresi nel perimetro del ramo ceduto passa automaticamente all’impresa cessionaria. Alla luce di questi principi occorre concludere che, nei trasferimenti di ramo d’azienda costituiti quasi esclusivamente da manodopera, nei quali la cessione dei beni strumentali è del tutto residuale, il rifiuto del lavoratori alla prosecuzione del rapporto con il cessionario comporta che essi permangono alle dipendenze del soggetto cedente. A queste conclusioni è pervenuto il Tribunale di Ravenna (sentenza del 26 giugno 2025, Giudice Bernardi) sostenendo che l’articolo 2112 va letto nel contesto del diritto comunitario, in una prospettiva che eviti interpretazioni «contro i lavoratori». Per il giudice ravennate, anche se manca una espressa previsione di legge nazionale in tal senso, deve essere affermato «il diritto del lavoratore dissenziente a continuare il suo rapporto di lavoro con la cedente». Del resto, l’ordinamento non prevede una norma che imponga lo scioglimento del rapporto in presenza di dissenso del lavoratore al trasferimento e sarebbe, inoltre, «alquanto singolare» che, avendo esercitato il diritto di opporsi alla cessione, il lavoratore debba anche rinunciare all’altro rapporto di lavoro. Prosegue il Tribunale di Ravenna che, se i lavoratori dissenzienti sono la stragrande maggioranza di quelli ricompresi nel ramo leggero oggetto di cessione, neppure si verifica l’operazione trasferitoria di cui all’articolo 2112. Se il trasferimento riguarda essenzialmente la forza lavoro, essendo la componente materiale ridotta ad alcuni computer e mobilio di ufficio, e il 90% dei lavoratori si oppone al passaggio al cessionario viene meno la funzionalità stessa di una cessione. Il rifiuto in massa dei lavoratori al trasferimento impedisce, in definitiva, che si produca la cessione del ramo d’azienda “leggero”. La sentenza va letta con cautela, dando ingresso a una lettura sulla disciplina del trasferimento d’azienda che in ambito giudiziale non aveva trovato sin qui spazio. La tesi per cui se la cessione riguarda un ramo leggero il lavoratore possa rifiutare il trasferimento, restando alle dipendenze del soggetto cedente, apre scenari complessi che potrebbero vincolare l’operatività stessa della cessione al preventivo consenso dei lavoratori.
Fonte: SOLE24ORE