Uso aziendale modificabile in peggio
- 3 Luglio 2025
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L’uso aziendale è pacificamente ricondotto dai giudici tra le cosiddette fonti sociali del diritto del lavoro che non sono espressione di una funzione pubblica né di meri interessi individuali e mirano a stabilire regole uniformi per tutti i lavoratori di un’azienda. Come ricorda la Corte di cassazione nell’ordinanza 16171/2025, l’efficacia dell’uso è la medesima di un contratto collettivo aziendale, con la conseguenza che un eventuale trattamento migliorativo previsto dall’uso può essere legittimamente modificato dalle successive fonti collettive, sia nazionali che aziendali, anche in senso peggiorativo. Secondo i giudici, anche il superminimo, ovverosia l’importo aggiuntivo pagato a un dipendente oltre i minimi tabellari, soggiace a questa regola. Più nel dettaglio, la Corte ha rilevato che, se è vero che in generale il superminimo, se è concordato individualmente tra datore di lavoro e dipendente, è assorbito da eventuali futuri miglioramenti previsti dai contratti collettivi, al tempo stesso sussistono delle eccezioni a tale assunto: l’assorbimento non avviene se il contratto collettivo lo esclude esplicitamente oppure se le parti hanno chiaramente stabilito che il superminimo è un compenso speciale legato a meriti particolari o alla qualità o maggiore complessità delle mansioni svolte dal lavoratore. In quest’ultimo caso, spetta eventualmente al dipendente dimostrare che il superminimo ha una sua ragione d’essere specifica. Del resto, nessun ostacolo logico o giuridico impedisce che l’assorbimento del superminimo venga meno per effetto di un diverso accordo, sia esso individuale o collettivo, così come di un uso aziendale. Relativamente alla durata della vincolatività dell’uso aziendale, la Corte di cassazione ha sottolineato che quest’ultimo non può limitare il datore di lavoro per sempre, impedendogli di apportare modifiche al rapporto individuale in presenza di rinnovi contrattuali. Il concetto è simile a quanto avviene per i contratti collettivi che non soggiacciono a un termine di efficacia predeterminato: per i giudici, i contratti non possono in nessun caso vincolare per sempre le parti contraenti, altrimenti perderebbero la loro causa e la loro funzione sociale. La contrattazione collettiva, infatti, per sua stessa natura deve adattarsi a una realtà socio-economica in continua evoluzione, con la conseguenza che ad essa si applica la regola, prevista per i negozi privati, secondo la quale il recesso unilaterale è una modalità ordinaria di estinzione dei rapporti di durata a tempo indeterminato, necessaria a evitare che una certa obbligazione, nel rispetto dei criteri di buona fede e correttezza, divenga perpetua. Così, anche relativamente all’uso aziendale, va rilevato che mantenere un vincolo immutabile non è coerente con le caratteristiche delle singole realtà aziendali che, per loro stessa natura, sono soggette a cambiamenti. Al tempo stesso, però, non è possibile lasciare alla totale discrezionalità del datore di lavoro la possibilità di disdettare l’uso aziendale, che deve quindi comunque e sempre rispettare i principi di correttezza e buona fede ed essere coerente con la natura di fonte sociale dell’uso. In altre parole, la disdetta dell’uso deve essere necessariamente giustificata da un significativo cambiamento delle circostanze rispetto al momento in cui l’uso medesimo si è formato e formalizzato attraverso una dichiarazione del datore che ne espliciti chiaramente le ragioni e la renda immediatamente percepibile dai lavoratori.
Fonte: SOLE24ORE