Nelle società di capitali, è sempre più frequente il caso di soggetti che rivestono contemporaneamente il ruolo di dirigente con contratto di lavoro subordinato e quello di amministratore, in particolare come amministratore delegato o presidente del consiglio di amministrazione. Questa sovrapposizione di funzioni solleva interrogativi giuridici rilevanti: è compatibile la posizione di amministratore con quella di lavoratore subordinato? E in quali condizioni? La risposta della giurisprudenza, pur articolata e in evoluzione, è chiara su un punto: la compatibilità non si presume, ma va dimostrata con rigore. L’attività dell’amministratore, infatti, non si configura come lavoro subordinato. Essa è frutto di un rapporto organico con la società: l’amministratore agisce come soggetto che incarna, all’esterno e all’interno, la volontà dell’ente. Il dirigente, invece, è per definizione un lavoratore subordinato, che opera sotto la direzione, vigilanza e controllo del datore di lavoro. Le due figure rispondono quindi a logiche giuridiche differenti. Tuttavia, la Corte di cassazione – a partire dalla sentenza delle Sezioni unite 10680/1994 – ha riconosciuto che non vi è un’incompatibilità assoluta. È possibile configurare un doppio rapporto (organico e lavorativo) tra la società e un soggetto, purché siano rispettate alcune condizioni rigorose: il dirigente deve svolgere mansioni distinte rispetto a quelle della carica amministrativa e deve essere sottoposto a un effettivo potere direttivo, organizzativo e disciplinare da parte dell’organo amministrativo. In altri termini, deve esserci una separazione tra le due funzioni sia sul piano formale che sostanziale. Queste condizioni sono state ribadite più volte anche dall’Inps, che nel messaggio 3359/2019 ha richiamato la necessità di accertare caso per caso l’esistenza di un’autentica subordinazione, anche attenuata come nel lavoro dirigenziale. In particolare, l’Istituto ha sottolineato che la coesistenza tra incarico gestorio (come quello di amministratore delegato) e posizione di lavoratore dipendente è preclusa se l’amministratore agisce in autonomia piena, senza il controllo effettivo del consiglio di amministrazione. Nel messaggio, l’Inps precisa che è da escludere la compatibilità tra rapporto subordinato e incarico di amministratore delegato dotato di delega generale, cioè con la possibilità di agire in modo del tutto autonomo, senza l’obbligo di riferire o ottenere ratifica dal Cda. In tali casi, il soggetto esercita in autonomia la volontà dell’ente e manca quindi il presupposto della subordinazione, che richiede l’assoggettamento al potere organizzativo, direttivo e disciplinare altrui. Al contrario, la titolarità di deleghe limitate, eventualmente accompagnate dall’obbligo di rendicontazione, è ritenuta compatibile con l’esistenza di un genuino rapporto di lavoro subordinato. La recente sentenza della Cassazione 5318 del 28 febbraio 2025 ha ribadito questi principi, ma con una significativa precisazione: mentre la posizione di amministratore delegato può in teoria essere compatibile con quella di dirigente, a certe condizioni, non è invece ammessa la sovrapposizione tra la carica di presidente del consiglio di amministrazione e quella di lavoratore subordinato. Il motivo è che il presidente rappresenta l’organo apicale della società, ed è quindi privo, per definizione, di un superiore gerarchico a cui rispondere. La Corte ha anche stabilito che il controllo formale, attraverso statuti o delibere, non basta. Occorre una verifica concreta della realtà aziendale, per accertare se le mansioni svolte siano realmente autonome o se vi sia subordinazione effettiva. In caso contrario, il rischio è la riqualificazione del rapporto di lavoro in prestazione d’opera autonoma o in funzione meramente organica, con conseguenze rilevanti sia sotto il profilo fiscale che previdenziale. Infatti, se il rapporto dirigenziale viene disconosciuto, l’Inps può annullare la posizione assicurativa, richiedere la restituzione dei contributi versati e negare il riconoscimento del periodo ai fini pensionistici. La società, a sua volta, può essere obbligata a versare i contributi alla gestione separata, con aggravio di costi. In definitiva, il confine tra le due posizioni è sottile e pericolosamente mobile. La possibilità di cumulare i ruoli esiste, ma solo quando è accompagnata da una netta distinzione delle funzioni, da una struttura di governance che garantisca l’esistenza di un potere sovraordinato effettivo e da una documentazione che attesti in modo concreto la separazione tra attività gestoria e attività lavorativa. Diversamente, la sovrapposizione può trasformarsi in un boomerang giuridico e contributivo, anche per il manager che si vedrebbe costretto a ricostruire daccapo tutta la sua posizione contributiva.
Fonte: SOLE24ORE