L’incompatibilità ambientale può giustificare il licenziamento

L’incompatibilità ambientale può giustificare il licenziamento

  • 23 Giugno 2025
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La compatibilità ambientale può giustificare il licenziamento del lavoratore a condizione che le ricadute sul piano organizzativo siano oggettive, attuali e non risolvibili in altro modo. Il giudice non entra nel merito della scelta imprenditoriale, ma esige che le sue ragioni siano dimostrabili, verificabili e non meramente pretestuose. Il Tribunale di Treviso, con sentenza 416/2025 del 29 maggio, si è pronunciato in merito a un licenziamento per giustificato motivo oggettivo di una lavoratrice le cui mansioni sono state esternalizzate nell’ambito di una riorganizzazione aziendale, motivata da esigenze di contenimento dei costi e, soprattutto, da una grave e persistente incompatibilità ambientale. Secondo l’azienda, tale incompatibilità era divenuta irreversibile per effetto del deterioramento dei rapporti interpersonali, causato da atteggiamenti quotidiani della dipendente, che avrebbero generato tensioni, conflittualità e disfunzioni organizzative. Nel giudizio, la lavoratrice ha dedotto, in via principale, la natura discriminatoria e ritorsiva del licenziamento, domandando la reintegrazione. Il Tribunale ha rigettato tali domande, per mancato assolvimento dell’onere della prova gravante sulla dipendente, ma ha comunque accolto la censura subordinata, rilevando l’insussistenza del giustificato motivo oggettivo, con conseguente riconoscimento della tutela indennitaria prevista dal Dlgs 23/2015. La pronuncia merita attenzione perché ribadisce la possibilità, in astratto, di configurare un licenziamento per incompatibilità ambientale come ipotesi di giustificato motivo oggettivo, distinguendola chiaramente dal licenziamento disciplinare. Si tratta, infatti, di un recesso che si fonda non sulla sanzione di un inadempimento contrattuale del lavoratore, bensì sulle conseguenze organizzative negative generate, in via di fatto, dal suo inserimento nell’ambiente di lavoro. Tuttavia – e qui sta il fulcro della decisione – affinché tale tipologia di licenziamento sia ritenuta legittima, il datore è onerato di una doppia prova: da un lato, che le condotte del dipendente abbiano concretamente e oggettivamente compromesso il regolare svolgimento dell’attività aziendale; dall’altro, che non sia possibile una sua ricollocazione alternativa all’interno dell’organizzazione. Inoltre, nei casi in cui al licenziamento si accompagni anche una motivazione economica (contenimento dei costi, esternalizzazione, riduzione dell’organico), occorre che l’assetto organizzativo sia documentato e che sussista un nesso causale tra la riorganizzazione e la soppressione della posizione lavorativa. Nel caso specifico, il Tribunale ha escluso che i comportamenti attribuiti alla dipendente – sebbene non del tutto irrilevanti – avessero determinato un effettivo blocco operativo o una rottura insanabile nei rapporti interni, giudicando generiche e non dimostrate le allegazioni aziendali. Analogamente, è stata ritenuta priva di riscontro la motivazione economica legata all’esternalizzazione, in mancanza di evidenze su crisi aziendale o risultati economici negativi.

Fonte: SOLE24ORE