Una lavoratrice ha impugnato il licenziamento per giustificato motivo oggettivo comunicatole nel marzo 2024 e ritenuto illegittimo per l’insussistenza del motivo economico posto a base della decisione aziendale e per la violazione dell’obbligo di repêchage. La lavoratrice, affermando di aver lavorato senza soluzione di continuità e indifferentemente alle dipendenze di due società, ha chiesto anche l’accertamento della decorrenza del rapporto di lavoro da un momento antecedente alla sua formalizzazione e dello svolgimento, sin dall’inizio, di mansioni superiori rispetto a quelle del livello riconosciutole (dal 4° livello al 2° livello). Inoltre ha richiesto la reintegra nel posto di lavoro e il pagamento di tutte le differenze retributive e contributive negli anni maturate. Il Tribunale di Napoli, con la sentenza 4210/2025 del 28 maggio, ha accolto il ricorso e condannato il datore di lavoro alla reintegra e al pagamento di una indennità risarcitoria corrispondente all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del Tfr, nella misura massima di dodici mensilità, oltre a tutte le differenze retributive e contributive calcolate dall’inizio del rapporto di collaborazione con la società e alle spese legali. A fondamento della sua decisione, il Tribunale ha posto l’accertamento dell’unicità del centro di imputazione del rapporto di lavoro, rispetto alle due società convenute, sulla base della quale avrebbero dovuto essere valutati sia la situazione di esubero di personale posta a fondamento del licenziamento, sia l’obbligo di repêchage. Nella fattispecie, invece, la valutazione da parte del datore di lavoro era stata fatta con riferimento alla sola società, di cui la lavoratrice risultava formalmente dipendente. In particolare il Tribunale, secondo il consolidato orientamento della Suprema corte (22509/2024) ha ritenuto che vi fosse una sovrapposizione funzionale e gestionale in presenza di «elementi di collegamento fra le due società che hanno travalicato, per caratteristiche e finalità, le connotazioni di una mera sinergia tra le stesse, per sconfinare in una compenetrazione di mezzi e di attività, sintomatica della sostanziale unicità soggettiva»; elementi tra cui:
- la stessa sede operativa, dove i dipendenti lavoravano (“in un openspace”) senza distinzione tra loro per le due società;
- lo stesso amministratore unico, che deteneva il 100% delle quote di una società ed era anche amministratore dell’altra e che impartiva direttive a tutto il personale, «senza alcuna differenziazione tra i dipendenti e collaboratori dell’una e dell’altra società»;
- la stessa attività materiale, diretta alla stessa clientela e con gli stessi obiettivi di carattere economico;
- lo stesso dominio di posta elettronica per tutti i dipendenti;
i medesimi interlocutori interni, con cui collaboratori e dipendenti si interfacciavano quotidianamente nella gestione degli stessi progetti, sotto un unico coordinamento.
A giudizio del Tribunale, dunque, la mancata valutazione in relazione all’insieme dei dipendenti delle due società (cioè dell’unico centro di imputazione) dell’esubero di personale e del repêchage, determina l’insussistenza del fatto materiale in base all’articolo 3, comma 2, legge 23/2015, posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo (ossia il motivo economico addotto) e consente l’applicazione della tutela reintegratoria, sulla scorta della sentenza della Corte costituzionale 128/2024, con l’indennità risarcitoria determinata nel massimo. Il Tribunale ha condannato le società anche al pagamento delle differenze retributive (e contributive), riconoscendo sia la decorrenza del rapporto di lavoro subordinato sin dall’inizio della collaborazione con la lavoratrice, che l’erroneità dell’inquadramento contrattuale.
Fonte: SOLE24ORE