La tardiva contestazione disciplinare dei fatti non comporta la reintegrazione
- 18 Giugno 2025
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La Corte di cassazione, con l’ordinanza 14172/2025, è tornata a pronunciarsi in tema di licenziamento disciplinare, soffermandosi sul rilievo da attribuire alla tardività della contestazione degli addebiti. Secondo la Corte, il ritardo, anche se significativo, non comporta automaticamente l’applicazione della tutela della reintegrazione, ma determina unicamente l’adozione della tutela indennitaria. Nel caso specifico, la contestazione disciplinare è stata notificata circa nove mesi dopo la conclusione delle indagini interne aziendali, da cui sono emersi i fatti oggetto di addebito. La Corte d’appello ha ritenuto che l’apprezzabile lasso temporale intercorso avesse compromesso la tempestività della procedura disciplinare, integrando una violazione non meramente formale, bensì sostanziale, idonea a giustificare la reintegrazione del lavoratore. Il datore di lavoro ha impugnato la sentenza in Cassazione, deducendo – tra gli altri motivi – il vizio di erronea interpretazione e applicazione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, per aver disposto la reintegrazione in presenza di un vizio procedurale di natura meramente formale. In accoglimento del ricorso, la Suprema corte ha ribadito che il presupposto per l’applicazione della tutela reintegratoria resta quello previsto dal comma 4 dell’articolo 18, ovvero l’insussistenza del fatto materiale contestato. La tardività della contestazione, configurandosi come vizio procedurale, ancorché rilevante, non può produrre gli effetti che l’ordinamento ricollega all’inesistenza del fatto. Le conseguenze di tale vizio, dunque, si esauriscono nell’attribuzione della sola tutela indennitaria. In tal senso, i giudici di legittimità confermano un principio già affermato dalle sezioni unite (30985/2017), delineando con chiarezza i confini applicativi del regime sanzionatorio: l’insussistenza del fatto rappresenta un elemento oggettivo, distinto rispetto ai vizi del procedimento disciplinare, i quali, per quanto gravi, non incidono sulla realtà fattuale dell’addebito. Pur escludendo che la tardività della contestazione possa di per sé giustificare la reintegrazione, la Corte chiarisce che l’inerzia datoriale nell’attivare le iniziative disciplinari non è priva di conseguenze. La violazione del principio di tempestività, infatti, ove grave e ingiustificata, può comportare l’illegittimità del licenziamento e l’applicazione della tutela indennitaria piena.
Fonte: SOLE24ORE