Con la sentenza 13525/2025, la Cassazione esclude che il datore di lavoro possa anticipare mensilmente ai dipendenti il Tfr mediante accredito continuativo in busta paga. Il caso deciso dalla Corte ha ad oggetto la pretesa contributiva dell’Inps, contenuta in un verbale di accertamento, nei confronti di una società che – in forza di un accordo secondo l’articolo 2120, ultimo comma, del Codice civile contenuto nella lettera di assunzione – ha erogato ai propri dipendenti un’anticipazione del Tfr mese per mese. Secondo l’istituto, tale prassi non sarebbe consentita dall’ordinamento e, conseguentemente, le anticipazioni mensili dovrebbero essere riqualificate come somme erogate a titolo retributivo, soggette a obbligazione contributiva. La Corte d’appello di Bologna ha respinto la pretesa dell’Inps, ritenendo che l’autonomia negoziale privata ha la possibilità di pattuire un regime di anticipazione del Tfr più favorevole rispetto a quello legale e richiamando la sentenza 4133/2007 della Suprema Corte. La Cassazione, in accoglimento del ricorso dell’Inps, ritiene che le condizioni di maggior favore, che il patto individuale secondo l’articolo 2120 può legittimamente introdurre al regime legale di anticipazione del Tfr, non possono concretarsi in una erogazione “mensilizzata” e non sostenuta da alcuna specifica causale. In particolare, la Corte ha rilevato che le condizioni di maggior favore cui si riferisce l’articolo 2120 possono ampliare i presupposti legali stabiliti per le anticipazioni del Tfr in base ai quali l’anticipazione è dovuta, una sola volta, per un importo massimo pari al 70% del Tfr accantonato, solo se il lavoratore ha un’anzianità minima di servizio di otto anni e, comunque, entro il tetto massimo di richieste del 10% degli aventi diritto e del 4% del numero totale di dipendenti. Così, ad esempio, il patto individuale potrebbe prevedere importi di anticipazione superiori al 70% oppure causali di anticipazioni aggiuntive a quelle tipizzate dal legislatore. Al contrario, secondo la Corte, l’anticipazione del Tfr operata in modo continuativo e senza una causale, mediante accredito mensile in busta paga, verrebbe a snaturare la funzione dell’anticipazione quale deroga, per ragioni eccezionali da soddisfare una tantum, alla regola generale per cui il Tfr deve essere accantonato mensilmente. In questa prospettiva, l’anticipazione mensile si porrebbe quale sistema pattizio capace di contrastare e svuotare la funzione del Tfr. La Corte, infine, ha escluso che il proprio precedente richiamato dalla Corte d’appello, ossia la sentenza 4133/2007, avesse abilitato l’erogazione mensile del Tfr. In tale pronuncia, la Corte si sarebbe limitata a ritenere legittima l’anticipazione per ragioni diverse da quelle indicate all’articolo 2120. La soluzione interpretativa della Corte non appare convincente, anche se si pone in sintonia con la recente nota 616/2025 dell’Ispettorato nazionale del lavoro. Infatti, sotto il profilo letterale, l’espressione «condizioni di miglior favore» contenuta nell’articolo, proprio per la sua ampiezza, implica la possibilità di derogare ai presupposti legali che determinano l’insorgenza del diritto del lavoratore di ottenere l’anticipazione del Tfr, ampliando i casi in cui quest’ultima può essere concordata. Né tale limitazione potrebbe ricavarsi, sul piano funzionale, dalla natura di retribuzione differita del Tfr. In questa prospettiva, infatti, la deroga prevista dall’ultimo comma dell’articolo 2120 introduce una forma di flessibilità nell’erogazione del trattamento che l’autonomia privata può valorizzare anche per soddisfare esigenze di liquidità ed equilibrio economico personale del lavoratore. Peraltro, la sentenza sembra porre addirittura un duplice limite all’autonomia delle parti: non solo sarebbe esclusa l’erogazione mensile, ma si richiederebbe anche una causale specifica, aggiuntiva a quelle tipizzate dal legislatore. Un’interpretazione, questa, che non trova riscontro in alcun dato testuale della disposizione e, comunque, sarebbe di incerta applicazione. In ogni caso, a nostro avviso tale causale si potrebbe configurare ed esaurire in qualsiasi generica utilità del lavoratore di fruire anticipatamente del proprio credito che, altrimenti, maturerebbe alla cessazione del rapporto di lavoro, in coerenza con il principio generale secondo cui il termine di esigibilità del credito può essere anticipato, con il consenso del debitore, a favore del creditore. Infine, la pretesa dell’Inps, avallata dalla sentenza, contiene un salto logico evidente, in quanto – anche ipotizzando che l’anticipazione mensile del tfr sia avvenuta al di fuori dell’ambito applicativo della disposizione e senza una specifica causale – non per questo sarebbe possibile riqualificarla automaticamente come retribuzione aggiuntiva, soggetta al pagamento di contributi. Anzi, si configurerebbe un indebito oggettivo, con la conseguenza che il datore di lavoro potrebbe agire nei confronti del lavoratore per la sua ripetizione.
Fonte: SOLE24ORE