Le molestie sessuali al collega costituiscono discriminazione sul lavoro
- 12 Giugno 2025
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I comportamenti sessualmente aggressivi esplicitati da una dipendente nei confronti del collega maschio, reiterati al punto da indurre quest’ultimo a evitare ogni interazione con la molestatrice, generando, tra l’altro, inefficienze sul piano organizzativo e rallentamenti per la produttività aziendale, costituiscono una discriminazione per ragioni connesse al sesso. La lavoratrice che a più riprese, davanti agli altri lavoratori, pronuncia all’indirizzo del collega «frasi indecorose e a sfondo sessuale» esprime un comportamento contrario ai valori radicati nella realtà sociale e si rende autrice di una «intrusione nella sfera intima e assolutamente riservata della persona», aggravata dalla totale noncuranza rispetto alla presenza di soggetti terzi. Le molestie sessuali sul posto di lavoro vanno valutate nel quadro della Carta costituzionale, in quanto possono avere portata offensiva rispetto ai diritti inviolabili dell’uomo e al lavoro come ambito di esplicazione della personalità, costituendo una minaccia per il riconoscimento della pari dignità sociale senza distinzione di sesso. In questo contesto è centrale la disciplina del Codice delle pari opportunità (Dlgs 198/2006), che riconduce i comportamenti indesiderati sul piano sessuale tra le discriminazioni che hanno l’effetto di violare la dignità dei lavoratori, creando un clima degradante e offensivo. Non meno rilevante è il ruolo che il Codice ascrive all’impresa, cui compete, in adempimento all’obbligo fissato dall’articolo 2087 del Codice civile, di assicurare un ambiente di lavoro improntato al rispetto della dignità dei lavoratori e alla salvaguardia dei principi di eguaglianza e correttezza nelle relazioni interpersonali. La Cassazione riprende questi concetti (ordinanza 13748/2025) e rimarca che l’assimilazione delle molestie per ragioni connesse al sesso alla fattispecie della discriminazione si collega all’obbligo del datore di rafforzare gli strumenti di tutela diretti a prevenire e reprimere i comportamenti indesiderati connotati sessualmente. Sulla scorta di questi rilievi è stata censurata la decisione della Corte d’appello di Milano per cui, poiché la lavoratrice non aveva precedenti disciplinari e non si erano prodotti danni significativi per l’organizzazione aziendale, le molestie sessuali digradavano a mero comportamento rilevante sul piano disciplinare. La Cassazione non condivide queste valutazioni e rimarca che le azioni sessualmente moleste della lavoratrice vanno inquadrate nell’ambito delle discriminazioni, perché sono in rilievo diritti fondamentali della persona che attengono alla dignità in ogni suo aspetto. Anche se la dipendente non è recidiva e l’impresa non ha subito rilevanti pregiudizi organizzativi, la tutela delle condizioni di lavoro cui il datore è tenuto per evitare fenomeni di discriminazione legati al sesso è assorbente e impone di adottare una sanzione disciplinare in linea con la scala valoriale espressa nella realtà sociale. La pronuncia merita di essere letta con attenzione per la sussunzione delle molestie sessuali tra le discriminazioni in ambito lavorativo. Alle imprese occorre, dunque, sapere che tra le misure improntate alla prevenzione della discriminazione sul posto di lavoro una sezione specifica deve essere riservata alle condotte indesiderate sul piano sessuale.
Fonte: SOLE24ORE