L’espressione “contratto pirata” non è antisindacale né diffamatoria
- 10 Giugno 2025
- Pubblicazioni
Non costituisce condotta antisindacale, né diffamatoria, definire come “pirata” un contratto collettivo nazionale firmato da organizzazioni sindacali non comparativamente più rappresentative a livello nazionale. Lo ha stabilito il Tribunale di Roma con l’ordinanza del 14 marzo 2025 (R.g. 1577/2025), che ha rigettato il ricorso presentato da Cisal comunicazione contro Slc-Cgil Roma e Lazio. La vicenda nasce dalla pubblicazione, su una bacheca elettronica aziendale, di un volantino intitolato “Quei bravi ragazzi ovvero contratto pirata Cisal per i call center”, nel quale la Rsu collegata alla Cgil criticava la sottoscrizione da parte della Cisal di un contratto nazionale ad hoc per il settore Crm, firmato anche da Cisal terziario, Anpit e Assocontact. Cisal ha avviato la procedura per condotta antisindacale, sostenendo che quel volantino eccedeva i limiti della critica sindacale, poiché, con un gioco retorico ispirato al titolo del noto film sulla criminalità organizzata italoamericana, assimilava i rappresentanti della medesima Cisal ai protagonisti del film, connotandoli come soggetti mafiosi dediti a comportamenti illeciti. Inoltre, l’uso dell’espressione “contratto pirata” veniva ritenuto denigratorio, idoneo a ledere la reputazione del sindacato firmatario dell’accordo. Il Tribunale ha ritenuto infondate queste doglianze e sono interessanti i motivi che vengono utilizzati per spiegare questa decisione. In primo luogo, ha osservato che il volantino era stato rimosso al termine dei 30 giorni previsti dal regolamento aziendale, facendo così venire meno l’attualità del pregiudizio e l’urgenza dell’intervento. In ogni caso, il ricorso risultava privo dei requisiti di fondatezza giuridica, poiché né il titolo né i contenuti del volantino potevano essere ritenuti diffamatori. Il riferimento al film “Quei bravi ragazzi” – ha affermato il giudice – va letto come una figura retorica, una “antifrasi” usata in chiave ironica per rafforzare la critica politica e sindacale rivolta alla decisione della ricorrente di sottoscrivere un contratto non sostenuto dalle sigle confederali maggiormente rappresentative. La finalità del volantino era, quindi, quella di esprimere una disapprovazione netta, ma non gratuita, nei confronti di un’operazione ritenuta pregiudizievole per i diritti dei lavoratori. L’ordinanza mette in luce, inoltre, l’assenza di condotta antisindacale nell’uso dell’espressione “contratto pirata”. Secondo il Tribunale, si tratta di una locuzione diffusa nel lessico sindacale e giuslavoristico, utilizzata per indicare contratti collettivi sottoscritti da organizzazioni sindacali minoritarie, spesso con contenuti peggiorativi rispetto agli standard consolidati. Tali contratti, si osserva, mirano talvolta a posizionarsi come alternativa più “sostenibile” dal punto di vista economico, ma con l’effetto di indebolire le tutele dei lavoratori. Proprio per questo, l’uso del termine “pirata”, pur implicando una connotazione negativa, è stato considerato legittimo e rientrante nella libertà di manifestazione del pensiero e nella dialettica sindacale. È una delle prime volte in cui un giudice riconosce esplicitamente la legittimità dell’uso della categoria di “contratto pirata” in un contesto di contrapposizione sindacale, attribuendo a tale etichetta un significato tecnico, legato a precise caratteristiche: minore rappresentatività delle sigle firmatarie, standard inferiori di tutela, funzione sostitutiva rispetto ai contratti leader di settore. Resta da vedere se si tratti di un caso isolato o se questa ordinanza possa segnare l’inizio di un nuovo orientamento interpretativo, in grado di incidere sulla definizione giuridica e pratica del concetto di rappresentatività nella contrattazione collettiva. Sarebbe una svolta importante rispetto a una tematica che, ancora oggi, fatica a trovare un quadro normativo e interpretativo stabile.
Fonte: SOLE24ORE