La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 18 maggio 2025 n. 13178, ha affermato che anche per il personale con funzioni direttive, il superamento del limite di ragionevolezza dell’orario di lavoro può dare luogo al riconoscimento di un compenso aggiuntivo ex art. 36 Cost. Nel caso in esame, la Corte distrettuale, con propria sentenza in riforma della pronuncia di primo grado, ha rigettato il ricorso proposto da un lavoratore con funzioni direttive nei confronti della propria ex datrice di lavoro. Con esso il lavoratore eccepiva l'inadeguatezza dell'indennità di funzioni direttive - pari a 1.812,72 euro annui e rimasta invariata dal 2008 alla cessazione del rapporto – corrisposta per compensare le prestazioni straordinarie realmente effettuate dal 2008 al 2018, ben oltre il limite delle 200 ore annue previsto dalla contrattazione collettiva ed eccedente i limiti di ragionevolezza. Sulla base di tali presupposti, il lavoratore chiedeva la condanna della società al pagamento, per il decennio indicato, della somma di 49.272 euro, oltre accessori e spese di lite. Questa somma era stata calcolata, applicando alle ore di straordinario effettuate la percentuale del 25% e detraendo l'indennità di funzioni direttive percepita. Secondo la Corte d'Appello, dall'esame della contrattazione collettiva nazionale e aziendale applicabile al rapporto, era emersa la volontà delle parti stipulanti di confermare, per il personale con funzioni direttive, le disposizioni di legge che escludono detta categoria dai limiti di orario di lavoro e nei cui confronti non trovano applicazione i limiti di orario settimanale previsti dalla contrattazione collettiva.
La Corte distrettuale escludeva, altresì, che il lavoratore avesse formulato una domanda risarcitoria per usura psico-fisica, ovvero avanzato una richiesta di adeguamento retributivo ai sensi dell'art. 36 della Costituzione. Avverso la decisione di merito il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione. La Corte di Cassazione, investita della causa, richiama la sentenza n. 101/1975 in cui la Corte Costituzionale ha statuito che “un limite quantitativo globale, ancorché non stabilito dalla legge o dal contratto in un numero massimo di ore di lavoro, sussiste pur sempre, anche per il personale direttivo, anzitutto in rapporto alla necessaria tutela della salute ed integrità fisiopsichica, garantita dalla Costituzione a tutti i lavoratori, e, sempre nel rispetto di questo principio, in rapporto alle obbiettive esigenze e caratteristiche dell'attività richiesta alle diverse categorie di dirigenti o funzionari con mansioni direttive: talché al giudice è sicuramente consentito esercitare, nelle singole fattispecie, un controllo sulla ragionevolezza della durata delle prestazioni di lavoro pretese dall'imprenditore, con riguardo alla natura delle funzioni espletate ed alle effettive condizioni ed esigenze del servizio, secondo i diversi tipi di imprese” (cfr. Corte Cost. 101/1975). Nel solco di questa pronuncia si è creato un orientamento giurisprudenziale secondo il quale il diritto al compenso per lavoro straordinario va comunque riconosciuto ai dipendenti con funzioni direttive:
quando la contrattazione collettiva contempli per essi un diverso orario normale di lavoro e tale orario venga in concreto superato;
se la durata della prestazione valichi comunque il limite di ragionevolezza, escluso ogni riferimento all'orario contrattualmente previsto per altre categorie di lavoratori (per tutte Cass. n. 4/1988; Cass. n. 18161/2018; Cass. n. 308/2011).
Passando alla fattispecie in esame - anche aderendo all'interpretazione accolta in secondo grado per la quale la disciplina collettiva applicabile non prevede, nemmeno per il personale con funzioni direttive, un orario normale di lavoro — la Corte distrettuale ha, comunque, omesso di verificare il rispetto del limite della ragionevolezza. In particolare, essa non ha accertato se, in concreto, tale limite fosse stato superato, considerando non solo la quantità delle ore lavorative effettivamente prestate, ma anche la natura qualitativa dell'attività svolta, in relazione al tipo di mansioni attribuite e alle esigenze di tutela della salute e del recupero psico-fisico del lavoratore. I giudici di merito si sono limitati ad escludere la proposizione di una “domanda risarcitoria per inadempimento dell'obbligo contrattuale di tutela contro l'usura psico-fisica del lavoratore”. Tuttavia, secondo l'orientamento giurisprudenziale richiamato, il superamento del limite della “ragionevolezza” nell'impegno lavorativo può fondare, autonomamente, il diritto del lavoratore a un compenso aggiuntivo, determinato secondo equità dal giudice. Si tratta, in ogni caso, di un'azione distinta rispetto alla domanda risarcitoria per violazione dell'art. 2087 c.c. In considerazione di quanto sopra esposto, la Corte di Cassazione cassa la sentenza, rinviando la causa alla Corte d'appello in diversa composizione anche per le spese.
Fonte: QUOTIDIANO PIU' - GFL