Impatriati, la sospensione del rapporto di lavoro non preclude l’accesso al regime
- 29 Maggio 2025
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Ai fini dell’applicazione del nuovo regime agevolativo a favore dei lavoratori impatriati non assume rilievo la circostanza che il contribuente, prima di trasferire la propria residenza fiscale in Italia, abbia sottoscritto un patto di sospensione del rapporto di lavoro con il datore di lavoro per cui lavorerà in Italia al momento del rientro. L’appartenenza o meno a un gruppo societario, in base a come definito dall’articolo 5, comma 2, del Dlgs 209/2023, non può costituire oggetto di un’istanza di interpello. Sono questi i chiarimenti contenuti nella risposta a interpello 142/2025 delle Entrate. Nel documento di prassi in commento, un cittadino italiano regolarmente iscritto all’Aire, che era stato in un primo momento distaccato all’estero, è transitato presso un’altra società estera e successivamente il suo contratto di lavoro è stato ceduto dal precedente datore di lavoro italiano ad una società estera terza con la quale il lavoratore: i) ha sottoscritto un patto di sospensione del rapporto di lavoro dal 15 gennaio 2023 fino al 31 dicembre 2025; ii) intende rientrare a lavorare in Italia a partire dal 1° gennaio 2026. Nella risposta all’interpello l’agenzia delle Entrate ha chiarito che la sospensione del rapporto di lavoro non è ostativa ai fini dell’accesso al regime agevolativo in commento. Tuttavia, ai fini della verifica del periodo di residenza estera va considerato che i tre anni di residenza previsti dalla nuova normativa agevolativa sono elevati sino ad un massimo di sette anni nel caso di trasferimenti infragruppo. Il citato comma 2 dell’articolo 5 considera appartenenti allo stesso gruppo i soggetti tra i quali «sussiste un rapporto di controllo diretto o indiretto ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, numero 1), del codice civile ovvero che, ai sensi della stessa norma, sono sottoposti al comune controllo diretto o indiretto da parte di un altro soggetto». Nell’istanza presentata alle Entrate il contribuente non ha fornito indicazioni puntuali in merito all’appartenenza o meno ad un gruppo dei diversi ex datori di lavoro e si è limitato ad affermare che il gruppo a cui appartiene il futuro datore di lavoro italiano possiede una partecipazione di minoranza in una società estera in cui ha prestato servizio in passato. In risposta all’istanza l’Agenzia delle Entrate, dopo aver rilevato la mancanza di ulteriori dettagli sulla composizione del gruppo societario, ha affermato che tale requisito non può essere oggetto di interpello, trattandosi di una valutazione di fatto che deve essere effettuata in sede di controllo.
Fonte: SOLE24ORE