Una recente pronuncia della Corte d’Appello dell’Aquila (79/2025 depositata in data 7 maggio 2025) ha richiamato in tema di controlli a distanza sui lavoratori la statuizione della Cassazione 25732/2021, ritenuta un punto fermo in materia, secondo cui «anche dopo la nuova formulazione dell’articolo 4 della legge 300/1970, sono consentiti i controlli tecnologici messi in atto dal datore di lavoro finalizzati alla tutela di beni estranei al rapporto di lavoro o ad evitare comportamenti illeciti, in presenza di un fondato sospetto circa la commissione di un illecito, purché sia assicurato un corretto bilanciamento tra le esigenze di protezione di interessi e beni aziendali, correlate alla libertà di iniziativa economica rispetto alle imprescindibili tutele della dignità e della riservatezza del lavoratore, e sempre che il controllo riguardi dati acquisiti successivamente all’insorgere del sospetto». Nel caso in esame, il ricorrente, dipendente di una società con mansioni di presidiante/ispettore qualità presso un centro di selezione rifiuti, è stato licenziato per essere stato presente alle operazioni di analisi in/out di rifiuti, svolte dai colleghi quando questi ultimi ne avevano alterato il risultato, in particolare il peso. In seguito a una segnalazione da parte del committente, che aveva rilevato “gravi e ripetute violazioni nello svolgimento delle analisi in/out”, era stato avviato un procedimento disciplinare nei confronti del lavoratore. Tale committente aveva incaricato un’agenzia investigativa di effettuare verifiche, dalle quali era emerso che il ricorrente era presente nel momento in cui i colleghi preposti all’esecuzione dell’analisi avevano posto in essere “in modo palese e tutt’altro che occulto” azioni volte ad alterare il procedimento di analisi sottoposto alla sua valutazione. Il Tribunale di Teramo aveva dichiarato estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento, ritenendo però sproporzionato il provvedimento e condannando l’azienda a corrispondere un’indennità pari a 8 mensilità dell’ultima retribuzione. La società ha proposto appello chiedendo la riforma della sentenza e il rigetto integrale delle domande avversarie. Il lavoratore ha altresì impugnato incidentalmente la pronuncia del Tribunale, sostenendo, tra l’altro, la nullità del licenziamento per violazione dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori. La Corte d’Appello, in accoglimento dell’appello principale, rigettato l’appello incidentale, ha riformato la sentenza di primo grado giudicando legittimo il licenziamento, con condanna del lavoratore alla restituzione delle somme ricevute in esecuzione della sentenza. La sentenza in esame ha, tra l’altro, affermato che:
- sono pienamente utilizzabili le videoriprese effettuate da un soggetto terzo, non datore di lavoro dell’interessato, in quanto non rientrano nel perimetro di cui all’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori;
- le registrazioni audiovisive commissionate e ricevute da un terzo integrano o sono comunque equiparabili ad una prova documentale, pienamente utilizzabile a riprova dell’inadempimento del lavoratore. I giudici di secondo grado hanno, inoltre, affermato che, in materia di giusta causa di licenziamento, la condotta del lavoratore che assiste consapevolmente - in diverse occasioni e non in una sola - a irregolari procedure di pesata del materiale da parte dei colleghi, omettendo di intervenire e di segnalare la circostanza al datore di lavoro, consente di ravvisare una condotta di compartecipazione o quantomeno di connivenza - in un contesto ambientale di piena adesione da parte di tutti i dipendenti all’adozione di comportamenti in palese violazione dell’obbligo di fedeltà, oltre che dei principi di correttezza e buona fede - che altera irreversibilmente il rapporto fiduciario e legittima il licenziamento disciplinare, rientrando nella fattispecie di comportamento “che provoca all’azienda grave nocumento morale o materiale” previsto dall’art. 10, CCNL Metalmeccanica-Industria.
Fonte: SOLE24ORE