I turni di pernottamento presso il luogo di lavoro, anche senza interventi di assistenza, sono considerati orario di lavoro e devono essere retribuiti adeguatamente, in conformità ai criteri dell'art. 36 Cost: a stabilirlo è la Corte di Cassazione con l’ordinanza 23 aprile 2025 n. 10648. Nel caso di specie, il Tribunale territorialmente competente aveva condannato una cooperatrice sociale al pagamento, in favore di un proprio dipendente con mansioni di educatore, di una somma a titolo di compenso per lavoro straordinario e notturno (e correlate differenze di 13ma mensilità) in relazione ai servizi di reperibilità effettuati 2 notti a settimana, immediatamente dopo il turno pomeridiano/serale, per un totale di 48 ore settimanali. La Corte distrettuale riformava la sentenza di primo grado, ritenendo le modalità di presenza notturna, emerse in giudizio, come reperibilità con pernottamento ex art. 57 CCNL delle cooperative sociali e non come lavoro straordinario, secondo l’art. 53 del medesimo CCNL. Ai sensi dell’art. 57 del CCNL di settore, ritenuto applicabile, “Nei casi di servizi residenziali continuativi alle lavoratrici e ai lavoratori cui è richiesta la reperibilità con obbligo di residenza nella struttura secondo un’apposita programmazione, oltre alla normale retribuzione, verrà riconosciuta un’indennità fissa mensile lorda di €. 77,47.... Gli orari di reperibilità compresi nelle ore di riposo, notturno e/o diurno, nonché per la consumazione dei pasti non sono ovviamente conteggiati ai fini del computo dell’orario di lavoro così come definito all’art. 51” Il lavoratore soccombente ricorreva in Cassazione a cui resisteva la cooperativa sociale; entrambe le parti depositavano memoria.
La Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sul caso, ripercorre l’iter processuale, evidenziando come il lavoratore avesse provato di:
aver svolto, nel periodo oggetto di contestazione, turni di lavoro comportanti il superamento dell’orario di lavoro settimanale di 38 ore, a causa dei pernottamenti notturni presso la struttura in regime di reperibilità;
non esser stato adeguatamente retribuito per tali prestazioni.
Per questo, il lavoratore rivendicava il pagamento degli straordinari notturni. Al riguardo la Corte di Cassazione ha richiamato i principi sanciti dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) secondo i quali i periodi di reperibilità devono essere qualificati come orario di lavoro anche laddove non implicano una permanenza sul luogo di lavoro. Tanto più, ha osservato la Corte, tale qualificazione risulta necessaria quando il lavoratore è obbligato a permanere fisicamente nel luogo indicato dal datore di lavoro, manifestando una sostanziale disponibilità nei suoi confronti al fine di intervenire immediatamente in caso di necessità (cfr. sentenza Simap – 3 ottobre 2000, causa C-303/98; Jager – 9 settembre 2003, causa C.151/02). La Corte di Cassazione prosegue sottolineando come, anche di recente, la CGUE abbia ribadito che la reperibilità costituisce orario di lavoro (con le corrispondenti obbligazioni datoriali sul pagamento della retribuzione) se i vincoli imposti al lavoratore durante tale periodo comprimono in modo significativo la sua facoltà di gestire liberamente il proprio tempo libero (cfr. decisioni del 21 febbraio 2018, causa C- 518/15, Ville de Nivelles c. R. Matzak, e del 9 marzo 2021, causa C-344/19 - D.J. contro Radiotelevizija Slovenija e causa C-580/19 – R.J. contro Stadt Offenbach am Main). La distinzione tra orario di lavoro e periodo di riposo, così come definita dalla normativa europea e dalla sua interpretazione giurisprudenziale, non implica, secondo la Cassazione, che il turno di reperibilità notturno debba necessariamente essere retribuito come lavoro straordinario notturno. Tuttavia, ciò non può condurre – come, invece, ritenuto dalla sentenza impugnata in applicazione dell’art. 57 del CCNL di settore – a escludere qualsivoglia forma di retribuzione o indennizzo. La Corte distrettuale, secondo i giudici di legittimità, ha omesso di valutare l’entità del compenso previsto dal CCNL, su base giornaliera o mensile, per i servizi di reperibilità notturna svolti presso la struttura. Compenso che deve essere comunque conforme al principio costituzionale di una retribuzione proporzionata e dignitosa, sancito dall'art. 36 Cost.. A tal proposito, la Cassazione ha richiamato un proprio precedente secondo il quale, nell'attuazione dell'art. 36 Cost., il giudice è tenuto a considerare, quale parametro di commisurazione, in via preliminare, la retribuzione stabilita dal CCNL applicato al rapporto di lavoro, potendosene discostare, anche d’ufficio, qualora essa entri in contrasto con i criteri di proporzionalità e sufficienza imposti dal precetto costituzionale (cfr. fra tutte Cass. 27711/2023, Cass. 27769/2023; Cass. 28320/2023). La Corte di Cassazione ha formulato così il seguente principio di diritto: “In base alla normativa dell’Unione europea, come interpretata dalla Corte di Giustizia e come attuata nella normativa italiana, la definizione di “orario di lavoro” va intesa in opposizione a quella di “riposo”, con reciproca esclusione delle due nozioni; l’obbligo, per il lavoratore, di svolgere turni di pernottamento presso il luogo di lavoro, anche se non determinante interventi di assistenza, va considerato orario di lavoro e deve essere adeguatamente retribuito; la retribuzione dovuta per tali prestazioni deve essere conforme ai criteri normativi di proporzionalità e sufficienza della retribuzione dettati dall'art. 36 Cost.”. Alla luce del predetto principio di diritto, la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza impugnata, rinviandola alla Corte d’appello in diversa composizione.
Fonte: QUOTIDIANO PIU' - GFL