Con la sentenza 159/2025 del 17 aprile 2025 la Corte d’appello di Salerno ha giudicato legittimo il licenziamento di un dirigente, assunto con contratto di lavoro a termine della durata di 5 anni, ma con patto di stabilità per i primi 4, al quale era stata contestata la violazione di obblighi contrattuali e statutari e, in particolare, l’aver operato senza le necessarie approvazioni degli organi sovraordinati, prendendo, in modo autonomo, decisioni che esulavano dalle proprie competenze. Ritenute inadeguate le sue giustificazioni, il dirigente era stato licenziato per giusta causa durante il periodo di vigenza del patto di stabilità. Ritenendo ingiusto il provvedimento espulsivo, il dirigente ha adito il Tribunale di Salerno, chiedendo che il licenziamento venisse giudicato
- nullo per ritorsività, perché (a suo dire) frutto della volontà di liberarsi di un dipendente scomodo e comunque perché disposto da soggetto privo del relativo potere;
- in ogni caso illegittimo per insussistenza di giusta causa;
- comunque inefficace per violazione del patto di stabilità.
Nelle proprie conclusioni, il dirigente chiedeva quindi: a) in via principale e sulla supposta nullità del licenziamento, la reintegrazione in servizio e il pagamento delle retribuzioni dalla data del licenziamento alla reintegra; b) in subordine e sulla supposta illegittimità e/o inefficacia del licenziamento, il pagamento delle retribuzioni fino alla scadenza naturale del rapporto. Nel costituirsi in giudizio la società contestava la fondatezza delle domande e ne chiedeva il rigetto. Con sentenza 581/23 il Tribunale di Salerno ha rigettato il ricorso. Avverso tale pronunzia il dirigente ha proposto appello. Anche il giudice di secondo grado ha respinto le domande del lavoratore, seppure con diversa motivazione. La sentenza in commento si segnala per aver ribadito tre principi. Il primo che il recesso dal contratto di lavoro a tempo determinato prima della scadenza del termine, anche in assenza di giusta causa o impossibilità sopravvenuta, è comunque qualificabile come inadempimento contrattuale per mancato rispetto del termine originariamente pattuito. Da ciò deriva che in un rapporto di lavoro a tempo determinato il dirigente non può comunque mai pretendere la tutela reintegratoria, mentre il risarcimento del danno, in caso di accertata illegittimità del licenziamento, può consistere solo nel pagamento delle retribuzioni che il lavoratore avrebbe percepito fino alla originaria scadenza naturale del contratto, non applicandosi al rapporto a termine le disposizioni sul recesso dal rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Pertanto nel caso di specie, essendo pacifica l’instaurazione di un rapporto a termine e avendo la Società esercitato la facoltà di recesso prima della naturale scadenza del contratto, non potrebbe comunque applicarsi la pretesa tutela reintegratoria ma, al più, quella risarcitoria, nei limiti detti (pagamento delle retribuzioni sino alla data di scadenza del contratto). Il secondo principio fissato dalla Corte consiste, invece, nell’aver ribadito che una volta accertata (come nel caso in esame) la fondatezza degli addebiti e la loro gravità (e quindi la lesione del vincolo fiduciario che integra la giusta causa di recesso) a nulla vale l’esistenza di un patto di stabilità (che peraltro prevedeva già la giusta causa quale valida ipotesi di cessazione del rapporto durante il periodo di vigenza del patto stesso). Il terzo principio fissato dalla Corte consiste, infine, nell’aver ribadito, per l’ennesima volta e in piena conformità con l’orientamento dominante della giurisprudenza, che la natura ritorsiva del licenziamento va esclusa se (come nel caso in esame) sussistono autonome e valide ragioni sul piano disciplinare, poiché l’intento ritorsivo, per essere rilevante, deve costituire l’unico motivo determinante del recesso.
Fonte: SOLE24ORE