Vietato geolocalizzare i dipendenti in smart working

Vietato geolocalizzare i dipendenti in smart working

  • 9 Maggio 2025
  • Pubblicazioni
Il datore di lavoro non può avvalersi di un’applicazione installata sui dispositivi in dotazione ai dipendenti per la geolocalizzazione della loro posizione geografica durante le fasce di reperibilità nelle giornate di smart working. Utilizzando il sistema di geolocalizzazione per identificare la posizione dei dipendenti che svolgono lavoro agile, il datore si espone alla violazione dell’articolo 4 della legge 300/1970, perché anche nei giorni di smart working l’impiego di strumenti elettronici dai quali possa derivare il controllo a distanza dell’attività lavorativa presuppone una specifica finalità (tutela del patrimonio aziendale, ragioni di sicurezza, eccetera). L’esigenza di geolocalizzare i lavoratori durante la fascia di reperibilità, consentendo in tal modo di verificare che il luogo di svolgimento della prestazione da remoto coincida con una delle sedi previste nell’accordo individuale di smart working, esula da queste finalità e costituisce un controllo vietato. Si pone anche un tema centrale rispetto alla protezione dei dati personali, perché il monitoraggio realizzato attraverso l’applicazione sullo smartphone o notebook in uso ai dipendenti costituisce un trattamento sprovvisto di idonea base giuridica, ponendosi in contrasto con i principi di liceità, correttezza e trasparenza alla base del regolamento Ue 2016/679. È irrilevante che sia stato raggiunto un accordo con le rappresentanze sindacali aziendali, perché l’uso datoriale dell’applicazione che geolocalizza i lavoratori in smart working costituisce un trattamento finalizzato a controllare direttamente l’attività lavorativa, in evidente contrasto con il principio di limitazione della finalità previsto dal regolamento stesso. Inoltre, va considerato che il lavoro agile presenta margini di libertà nello sviluppo della vita privata superiori rispetto al tradizionale svolgimento della prestazione lavorativa in presenza. In tale ambito, l’utilizzo della geolocalizzazione per verificare la posizione dei dipendenti comporta «una disparità di trattamento a svantaggio dei soli dipendenti che fruiscono del lavoro agile». È altrettanto irrilevante che l’applicazione richieda il consenso ai lavoratori per poter accedere alla loro posizione, perché esso non costituisce, in tale contesto, un valido presupposto di liceità per il trattamento dei dati personali. Su tali rilievi risiede la sanzione di 50.000 euro inflitta dal Garante privacy (provvedimento 135/2025) a un ente che si è avvalso di un’app per accedere alla posizione geografica dei dipendenti nelle giornate di lavoro agile. Il personale veniva scelto a campione e contattato telefonicamente con la richiesta di attivare il sistema di geolocalizzazione mediante la timbratura in entrata e in uscita e con ulteriore richiesta di inviare al responsabile in azienda una e-mail con indicato il luogo in cui si trovava in quel preciso momento. A seguito di verifiche, se riscontrava un’incongruenza nei dati, l’ente dava impulso a un’azione disciplinare. Da una di queste ha avuto origine la decisione di una dipendente di presentare reclamo. A nulla sono valsi la sospensione del procedimento disciplinare e la disattivazione della geolocalizzazione da parte dell’ente, avendo il Garante accertato che, in un rilevante arco temporale, è stato posto in essere un monitoraggio finalizzato al controllo di circa 100 lavoratori in smart working, accedendo a informazioni «assai delicate concernenti la posizione geografica», con interferenza nella loro sfera privata.

Fonte: SOLE24ORE