Con la nota 616/2025, l’Ispettorato nazionale del lavoro ha preso posizione in merito alla prassi – rilevata in sede ispettiva – di corrispondere mensilmente il Tfr in busta paga. La nota muove dal presupposto secondo cui il Tfr costituisce un accantonamento destinato, di norma, a garantire al lavoratore un sostegno economico al termine del rapporto di lavoro. Richiamando l’ordinanza della Corte di cassazione 4670/2021, l’Inl ritiene che gli accordi collettivi o individuali riconducibili all’ambito applicativo dell’ultimo comma dell’articolo 2120 del Codice civile possano avere a oggetto soltanto l’anticipazione dell’accantonamento maturato al momento della pattuizione e non un automatico trasferimento in busta paga del rateo mensile che, a questo punto, costituirebbe una mera integrazione retributiva con conseguenti ricadute anche sul piano contributivo, oltre all’obbligo a carico del datore di lavoro di accantonare le quote di Tfr illegittimamente anticipate. A nostro avviso, tale impostazione non appare convincente e, quindi, condivisibile sotto il profilo interpretativo; per di più, essa rischia di esporre i lavoratori a conseguenze applicative sfavorevoli. In primo luogo, si deve ricordare che le anticipazioni del Tfr possono avvenire in due casi previsti direttamente dal legislatore nell’articolo 2120, comma 8 (acquisto della prima casa o cure mediche) nonché nelle altre e più favorevoli ipotesi stabilite dal contratto collettivo o da patti individuali. La tesi dell’Ispettorato, secondo cui l’accordo individuale può riguardare l’anticipazione delle sole quote di Tfr già maturate, non sembra valorizzare adeguatamente il dato testuale dell’articolo 2120, ultimo comma. Infatti, l’espressione «condizioni di miglior favore», per la sua ampiezza, implica la possibilità di derogare ai presupposti legali che determinano l’insorgenza del diritto del lavoratore di ottenere l’anticipazione del Tfr, ampliando i casi in cui quest’ultima può avvenire. Non si rinviene, in tal senso, alcuna limitazione alla casistica di anticipazione che possa formare oggetto dell’accordo individuale. Né una limitazione pare ricavarsi distinguendo tra quota di Tfr maturata e ancora da maturare. Infatti, che il Tfr maturi su base mensile è un dato acquisito che si può riscontrare – oltre che dall’articolo 2120, comma 1 («la quota è proporzionalmente ridotta per le frazioni di anno, computandosi come mese intero le frazioni di mese uguali o superiori a 15 giorni») – anche dal pagamento del Tfr quando si verifica un’estinzione del rapporto di lavoro prima che sia maturato un intero anno (ad esempio, cessazione di contratto a tempo determinato o recesso durante la prova). Neppure si potrebbe prospettare che, con la mensilizzazione, non sarebbe determinabile la quota di Tfr da maturare. Infatti, trattandosi di un emolumento che matura mensilmente sulla base di parametri oggettivi e ricorrenti, la determinabilità dell’oggetto è pienamente garantita e non può costituire motivo ostativo alla validità del patto. Anche l’argomento secondo cui il Tfr ha natura di retribuzione differita non sembra decisivo, in quanto l’ultimo comma dell’articolo 2120 ha riconosciuto un significativo margine di autonomia alle parti del rapporto di lavoro, anche nella prospettiva di soddisfare esigenze di liquidità, pianificazione finanziaria ed equilibrio economico personale del lavoratore, introducendo una forma di flessibilità che non svilisce la funzione del Tfr, ma ne rimodula l’utilizzo in chiave adattiva. Sicché, l’accordo individuale che preveda la corresponsione mensile del Tfr non soltanto non appare in contrasto con la disciplina codicistica, ma ne costituisce una possibile declinazione. Peraltro, la posizione espressa nella nota sembra comunque insufficiente a impedire le anticipazioni ripetute e continuative delle quote di Tfr maturato, ben potendo essere erogate con cadenza annuale in un’unica soluzione in misura pari alla quota del Tfr maturato annualmente. Infine, l’approccio della nota non sembra ponderare esaustivamente le implicazioni applicative del provvedimento di disposizione, che comporta il venir meno del titolo giustificativo dell’erogazione di cui ha beneficiato il lavoratore; con la conseguenza che le somme sarebbero state indebitamente erogate e, per l’effetto, il datore di lavoro avrebbe la possibilità di agire per la ripetizione dell’indebito, a cui il lavoratore potrebbe sottrarsi solo dimostrando – con evidenti difficoltà probatorie – una diversa natura dell’erogazione, configurandola come un incremento della ordinaria retribuzione. Con un esito, quindi, che si rivelerebbe controproducente rispetto all’obiettivo di tutela del lavoratore che l’Ispettorato intende perseguire.
Fonte: SOLE24ORE