Rifiuto di lavoro a turni concordato

Rifiuto di lavoro a turni concordato

  • 8 Maggio 2025
  • Pubblicazioni
Le esigenze della attività lavorativa, anche in relazione alle commesse improvvise acquisite, richiedono, sempre, al datore di lavoro di adeguare la necessità produttiva per soddisfare, il più celermente possibile, gli ordini del cliente. Di qui la richiesta ai lavoratori di prestazioni flessibili come quelle, ad esempio, pur nel rispetto della previsione contrattuale, di turni “a scorrimento”, rispetto ai quali il CCNL prevede la corresponsione di una indennità economica. I lavoratori, a fronte del diniego dell’azienda, di erogare la predetta indennità, hanno disatteso l’accordo concordato, ed hanno continuato a svolgere le loro prestazioni durante il normale orario di lavoro. Qualificando tale atto come insubordinazione, il datore di lavoro ha proceduto ad irrogare provvedimenti di licenziamento, rispetto ai quali, dopo i due gradi di giudizio, si è occupata la Cassazione con la sentenza n. 9526/2025. In primo grado il Tribunale aveva ritenuto legittimi i recessi datoriali, ma la Corte di Appello di Napoli, era stata di parere opposto, ritenendo che, quanto posto in essere dai dipendenti, pur non inquadrandosi in una forma di sciopero tutelata dalla legge, non poteva essere ritenuta grave insubordinazione, ma doveva essere ricondotta ad una questione di inadempimento contrattuale, cosa che comporta, in relazione al CCNL applicato, una sanzione di natura conservativa. La Corte di Cassazione, in ciò aprendo ad una valutazione positiva del comportamento dei lavoratori aggregatisi spontaneamente in una sorta di autotutela collettiva dei propri diritti (in assenza di una organizzazione sindacale), ha affermato che il rifiuto del lavoro su turni “a scorrimento”, non presentava, assolutamente, rilievi di natura disciplinare, proprio perché la loro azione era meritevole di tutela al pari del diritto di sciopero, pur non sospendendo la prestazione lavorativa. Da ciò è disceso che:

l’astensione dal turno a scorrimento era legittima in quanto finalizzata ad ottenere le migliorie di natura economica previste dalla contrattazione collettiva;
i licenziamenti datoriali si configurano come discriminatori e rientrano nella previsione dell’art. 4 della legge n. 604/1966;
i lavoratori sono stati tutti reintegrati nel posto di lavoro con il conseguente pagamento delle retribuzioni, per tutto il periodo non lavorato a seguito dei recessi illegittimi adottati dall’imprenditore.