Omesso versamento contributi: in caso di fallimento il credito del lavoratore è privilegiato

Omesso versamento contributi: in caso di fallimento il credito del lavoratore è privilegiato

  • 5 Maggio 2025
  • Pubblicazioni
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un lavoratore affinché venisse ammesso al passivo del Fallimento della srl (sua ex datrice di lavoro) per l'importo di 19.301,64 euro a titolo di retribuzioni non corrisposte. Il Tribunale, sezione prima civile, in sede di opposizione ex art. 98 legge fallimentare, definitivamente pronunciando ed accogliendo parzialmente il ricorso, ammetteva il credito, in via privilegiata ex art. 2751-bis c.c. n.1 per l'importo di 15.980,73 euro, oltre alle somme già riconosciute dal curatore. Avverso il decreto del Tribunale proponeva ricorso in cassazione il Fallimento della srl, articolando tre motivi di impugnazione, a cui resisteva con controricorso il lavoratore. La decisione della Corte di Cassazione

1. Valutazione del compendio probatorio
La Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sulla controversia, sottolinea che il giudice di merito ha effettuato una valutazione unitaria della documentazione prodotta in atti (CUD e buste paga), ritenendo che:

-dal CUD emergesse la prova del rapporto di lavoro per l'intero anno di riferimento e del relativo quantum;
-dalle buste paga risultasse, invece, la prova del quantum per il periodo interessato (settembre 2016 – agosto 2017) “in quanto mera specificazione dell'onere probatorio già assolto con la produzione del CUD”.
Sul punto, la Corte di Cassazione richiama un suo precedente in cui si afferma che “i modelli CUD di provenienza pubblica soddisfano i requisiti della prova documentale richiesta al fine dell'opponibilità della prova scritta di un credito al fallimento, anche in ordine al parametro ex art. 2704 c.c.” (cfr. Cass. n. 10123/2017).

Distinzione tra contributi a carico del datore e quota a carico del lavoratore
La Corte evidenzia, altresì, che il Tribunale, nell'interpretare la domanda formulata dal lavoratore, ha distinto tra i contributi a carico del datore e la quota di contributi a carico del lavoratore, per il cui pagamento è responsabile il datore medesimo (ex art. 19 L. 218/1952). In relazione ai primi, il lavoratore - fermo restando il diritto all'integrità della posizione contributiva - non ha legittimazione attiva nei confronti del datore di lavoro, “non avendo alcuna posizione giuridica attiva in relazione all'obbligazione avente ad oggetto il pagamento della contribuzione previdenziale (cfr. Cass. n. 11730/2024).  Diversamente, per quanto riguarda le quote di contributi a carico del lavoratore e trattenute dal datore, trova applicazione l'art. 23 L. 218/1952 che obbliga il datore alla loro corresponsione, facendolo diventare obbligato per l'intero.  In giurisprudenza è stato anche affermato che, in caso di fallimento del datore di lavoro, il lavoratore deve essere ammesso al passivo per le retribuzioni non percepite, con collocazione privilegiata ex art. 2751-bis c.c. n. 1, al netto della quota contributiva a carico del datore e al lordo di quella a suo carico (cfr. Cass. n. 23426/2016). In questo contesto si insinua la giurisprudenza per la quale, in materia di contributi previdenziali, il datore di lavoro può trattenere quelli da versare all'ente previdenziale solo se eroga tempestivamente la retribuzione. In caso di “intempestività”, “da valutarsi con riferimento al momento di maturazione dei crediti”, il datore non può effettuare la trattenuta e il credito retributivo del lavoratore si estende automaticamente alla quota contributiva a suo carico (cfr. Cass. n. 18897/2019). In altri termini, il datore di lavoro che non provvede tempestivamente al versamento dei contributi resta obbligato in via esclusiva al loro pagamento anche per la quota a carico del lavoratore. Tale quota diventa parte della retribuzione dovuta e, in quanto tale, non deve essere detratta dal danno subito dal lavoratore, “non essendone egli più il debitore” (cfr. Cass. n. 25956/2017). Infine, la Corte ribadisce che il credito del lavoratore per le differenze retributive deve essere calcolato al lordo delle ritenute fiscali e di quella parte delle ritenute previdenziali a suo carico. Le ritenute fiscali, infatti, riguardano il rapporto tributario tra il lavoratore (il contribuente) e l'erario e devono essere versate dal lavoratore solo dopo aver percepito le differenze retributive dovutegli. Quanto alle seconde, l'art. 19 L. 218/1952 stabilisce che il datore di lavoro “può procedere alle ritenute previdenziali a carico del lavoratore solo nel caso di tempestivo pagamento del relativo contributo” (cfr. Cass. n. 18044/20125). La Corte di Cassazione formula così il seguente principio di diritto “In tema di omesso versamento dei contributi e di fallimento del datore di lavoro, nell'ipotesi di insinuazione al passivo per crediti retributivi, il lavoratore non ha alcuna legittimazione attiva in relazione all'obbligazione avente ad oggetto il pagamento della contribuzione previdenziale, mentre le quote di contributi a carico del lavoratore, ritenute dal datore, se non tempestivamente versate all'INPS, devono essere corrisposte al lavoratore, con collocazione privilegiata a norma dell'art. 2751 bis, n. 1, c.c.” In considerazione di quanto sopra esposto, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso presentato dal Fallimento della srl, con condanna al pagamento delle spese del giudizio.

Fonte: QUOTIDIANO PIU' - GFL