Legittimità del licenziamento svincolata dalla sentenza penale

Legittimità del licenziamento svincolata dalla sentenza penale

  • 30 Aprile 2025
  • Pubblicazioni
La Cassazione, con l’ordinanza 30748/2024, ha chiarito che il giudice del lavoro, investito della verifica circa la legittimità del licenziamento per giusta causa, non è vincolato dalla sentenza penale irrevocabile di assoluzione del dipendente fondata sull’insussistenza dei fatti contestati, se non ricorre, in base all’articolo 654 del Codice di procedura penale, il presupposto della costituzione del datore di lavoro quale parte civile nel processo penale. Il caso sottoposto al vaglio della Suprema corte trae origine da una sentenza del Tribunale di Bologna, che ha rigettato la domanda del lavoratore volta a ottenere la dichiarazione di illegittimità del licenziamento e la conseguente reintegrazione in servizio. La Corte d’appello, riformando la sentenza di primo grado, ha, invece, accertato l’illegittimità del licenziamento alla luce del giudicato emesso nel parallelo processo penale, in cui il lavoratore è stato assolto per insussistenza dei fatti contestati. A sostegno della propria determinazione, la Corte bolognese ha osservato che, nonostante il Tribunale avesse ritenuto legittimo il licenziamento sulla base delle risultanze del procedimento disciplinare e delle prove raccolte, la sentenza penale di assoluzione del lavoratore, fondata sull’insussistenza dei fatti oggetto di contestazione, precludeva una diversa valutazione in sede disciplinare, dispiegando effetti diretti nel relativo giudizio, secondo l’articolo 653 del Codice di procedura penale. La Suprema corte, nel cassare con rinvio la sentenza di secondo grado, ha evidenziato, anzitutto, che non è pertinente il richiamo operato dalla corte territoriale all’articolo 653 del Codice di procedura penale, in quanto tale norma riguarda solo rapporti di pubblico impiego e non anche quelli di natura privatistica - quale è il rapporto oggetto di esame - rispetto ai quali trova, invece, applicazione l’articolo 654, che regola «l’efficacia della sentenza penale di condanna o di assoluzione in altri giudizi civili o amministrativi». La Cassazione, nel confermare il proprio costante orientamento, ha precisato ulteriormente che, nell’ambito di un rapporto di lavoro privato, la sentenza penale di assoluzione non ha efficacia di giudicato nel procedimento disciplinare, quando non ricorre, in base all’articolo 654 del Codice di procedura penale, il presupposto della costituzione del datore di lavoro quale parte civile nel processo penale, «in quanto l’articolo 653 comporta l’efficacia di giudicato di tale sentenza…solo relativamente ai rapporti di pubblico impiego, facendo riferimento al giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità». Pertanto, laddove manchi tale presupposto, il giudice del lavoro chiamato a pronunciarsi sulla legittimità del licenziamento, ove pure irrogato in base agli stessi comportamenti oggetto di imputazione in sede penale, non è obbligato a tenere conto dell’accertamento contenuto nella sentenza di assoluzione del lavoratore, ma ha il potere di ricostruire, autonomamente e con pienezza di cognizione, i fatti materiali oggetto di addebito e di giungere a una valutazione e a una qualificazione degli stessi del tutto svincolate dall’esito del procedimento penale. Quanto alla valutazione della gravità del comportamento tenuto dal lavoratore, i giudici di legittimità hanno ribadito che si deve tener conto «dell’incidenza del fatto commesso sul particolare rapporto che lega le parti nel rapporto di lavoro, delle esigenze poste dall’organizzazione produttiva e delle finalità delle regole di disciplina postulate da detta organizzazione»; ciò, ancora una volta, «indipendentemente dal giudizio che del medesimo fatto dovesse darsi a fini penali».

Fonte: SOLE24ORE