Sicurezza sul lavoro e importanza delle misure organizzative

Sicurezza sul lavoro e importanza delle misure organizzative

  • 28 Aprile 2025
  • Pubblicazioni
Con la sentenza n. 15694/2025, la Corte di cassazione affronta nuovamente il tema della responsabilità degli enti ex D.Lgs. 231/2001 in un caso di infortunio sul lavoro. Pur annullando la condanna penale per intervenuta prescrizione, la Suprema Corte ha confermato la responsabilità della società per l'illecito amministrativo di cui all'art. 25-septies del Decreto. La pronuncia offre l'occasione per riflettere sul ruolo del modello 231 quale elemento cardine per l'esonero da responsabilità dell'ente. Il procedimento trae origine da un grave infortunio occorso al dipendente di una Srl, precipitato da un terrapieno privo di protezioni durante un'attività di pulizia. L'incarico, secondo i giudici, era stato impartito in violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro; in particolare, alla società veniva contestato:
- di avere impiegato il dipendente in mansioni diverse da quelle per le quali era stato assunto e con orari più ampi di quelli contrattualmente previsti;
- di avere omesso di predisporre misure idonee alla protezione dei lavoratori in presenza di pericolo di caduta dall'alto e di ostacoli fissi;
- di avere omesso di curare la formazione e la informazione del dipendente in ordine ai rischi legati alle mansioni cui era stato, in concreto, adibito;
- di avere omesso di dotare il dipendente di dispositivi di sicurezza individuali idonei alle mansioni che avrebbe dovuto svolgere.
Le gravi lesioni riportate dal lavoratore conducevano alla condanna del datore di lavoro per lesioni colpose aggravate, nonché a quella della società per illecito amministrativo ai sensi dell'art. 25-septies D.Lgs. 231/2001. La Corte di appello, con sentenza del 21 marzo 2024, confermava la decisione di primo grado, riconoscendo la responsabilità penale del datore di lavoro e quella amministrativa dell'ente, rilevando a tal riguardo le criticità riscontrate nel sistema di sicurezza apprestato. La Cassazione, pur riconoscendo in capo al datore di lavoro i profili di colpa individuati nel capo di imputazione, ha annullato la sentenza impugnata agli effetti penali per intervenuto compimento del termine prescrizionale del reato di lesioni colpose; mentre ha rigettato il ricorso della società in relazione alla responsabilità ex D.Lgs. 231/2001. In particolare, la Suprema Corte ha confermato l'esistenza del reato presupposto (lesioni colpose gravi con violazione delle norme antinfortunistiche) e l'interesse/vantaggio per l'ente. L'infortunio è risultato strettamente connesso alla mancata adozione di misure organizzative adeguate e all'assenza di dispositivi di protezione individuali. Con la decisione in commento, la Corte di Cassazione ribadisce il principio secondo cui il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento dannoso (come un infortunio) non si interrompe solo perché il lavoratore ha agito con imprudenza e che la responsabilità del datore di lavoro permane se il sistema di sicurezza dallo stesso predisposto presenta evidenti carenze. E invero, le norme sulla sicurezza hanno lo scopo di proteggere i lavoratori anche da incidenti causati da loro stessi per errore o negligenza. Pertanto, il datore di lavoro deve garantire che vengano rispettate le regole di prevenzione ed evitare che si instaurino prassi lavorative scorrette – anche se adottate dagli stessi lavoratori – in quanto latrici di possibili rischi per la loro sicurezza e incolumità. Il nesso causale de quo può essere escluso esclusivamente quando il comportamento del lavoratore sia del tutto anomalo, imprevedibile e fuori dal contesto delle sue mansioni o del processo produttivo. In altri termini, solo se il lavoratore agisce in modo totalmente slegato dal lavoro che sta svolgendo, e in modo assolutamente imprevedibile, si può parlare di interruzione del nesso causale. Nel caso specifico, ciò non si verifica poiché il lavoratore si era semplicemente attenuto a un ordine di lavoro impartito dal suo superiore. La sentenza in commento non fa menzione del modello 231; nondimeno, i giudici hanno ritenuto non solo che la società fosse priva di un sistema organizzativo efficace, ma che le prassi aziendali e la gestione del personale evidenziassero una cultura della sicurezza del tutto inadeguata. La mancata formazione, l'omessa informazione sui rischi specifici, l'assegnazione del lavoratore a compiti estranei alla sua mansione e l'assenza di DPI rappresentano sintomi evidenti dell'assenza di un sistema organizzativo conforme al dettato del D.Lgs. 231/2001. In altre parole, l'adozione e l'efficace attuazione di un modello organizzativo conforme alle prescrizioni del citato Decreto avrebbero potuto consentire alla società di prevenire il reato verificatosi, o comunque di difendersi nell'ambito del giudizio al fine di evitare l'applicazione delle sanzioni previste dall'art. 25-septies. La sentenza in commento evidenzia altresì la centralità di un sistema di compliance effettivo e non meramente formale, rappresentando un monito per gli operatori del settore e imponendo un ripensamento profondo delle politiche aziendali in materia di sicurezza sul lavoro e gestione del rischio penale. In tal senso la decisione della Cassazione rappresenta una importante occasione di riflessione operativa per tutte le realtà imprenditoriali, chiamate a una revisione attenta del proprio sistema di controllo interno.

Fonte: QUOTIDIANO PIU' - GFL