Nullo il contratto di apprendistato senza formazione
- 23 Aprile 2025
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La validità del contratto di apprendistato professionalizzante è subordinata al corretto espletamento del percorso formativo. In mancanza, il contratto è nullo e viene convertito ab origine in un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. È ravvisabile la violazione dell’articolo 2087 del codice civile nel caso in cui il datore di lavoro consenta, anche colposamente, il mantenersi di un ambiente stressogeno, fonte di danno alla salute dei lavoratori. Le assenze per malattia del lavoratore non possono giustificare il licenziamento per superamento del periodo di comporto ove l’infermità sia imputabile a responsabilità dello stesso datore di lavoro. Questi principi sono stati affermati dal Tribunale del Lavoro di Pisa con sentenza del 4 aprile 2025 in relazione al caso di una lavoratrice assunta con un contratto di apprendistato per lavorare presso un panificio. Con riferimento al contratto di apprendistato, rammentato che si tratta di un contratto di lavoro a causa mista nel quale, oltre alla causa caratterizzata dallo scambio tra retribuzione e prestazione lavorativa, si pone la finalità formativa, il Giudice ha rilevato che la lavoratrice aveva frequentato solo un corso di formazione on line a distanza di due anni dall’assunzione e che alcuna prova della formazione era stata fornita dal datore di lavoro. Né l’omissione poteva essere giustificata dalle limitazioni legate al Covid, dato che il decreto Rilancio (Dl 34/2020) aveva previsto la possibilità di prorogare i contratti di apprendistato, ma tale facoltà non era stata utilizzata. In linea con il costante orientamento della Corte di cassazione (si veda, ad esempio, Cassazione, Sezione lavoro, 22 giugno 2018, n. 16571), in assenza del requisito essenziale della formazione, il contratto di apprendistato è stato dichiarato nullo, con conseguente conversione dello stesso ab origine in un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Esaminando il licenziamento, poi, il Tribunale ha ritenuto che i messaggi WhatsApp prodotti in giudizio dalla lavoratrice denotassero un atteggiamento particolarmente astioso del datore di lavoro, idoneo a creare un ambiente di lavoro ostile e a causare alla lavoratrice uno stato di ansia documentato da relazioni mediche e confermato da una Ctu disposta nel corso del giudizio. Il Giudice ha ricordato i principi giurisprudenziali secondo i quali, in tema di responsabilità del datore di lavoro per danni alla salute del dipendente, anche ove non sia configurabile una condotta di “mobbing”, per l’insussistenza di un intento persecutorio idoneo a unificare la pluralità continuata di comportamenti pregiudizievoli, è ravvisabile la violazione dell’articolo 2087 del codice civile nel caso in cui il datore di lavoro consenta, anche colposamente, il mantenersi di un ambiente stressogeno, fonte di danno alla salute dei lavoratori (si vedano, in proposito, Cassazione, Sezione lavoro, 7 febbraio 2023, n. 3692; Cassazione 33639 e 33428 del 2022). In conseguenza di quanto sopra, il Tribunale ha ritenuto che il datore di lavoro, con la propria condotta non avesse impedito la creazione di un ambiente stressogeno per la lavoratrice. Ferma la regola generale per cui anche le assenze del lavoratore dovute a infortunio o malattia professionale sono normalmente computabili nel periodo di conservazione del posto ai sensi dell’articolo 2110 codice civile, il Tribunale ha applicato i principi consolidati in giurisprudenza secondo i quali il licenziamento di un lavoratore per superamento del periodo di comporto è nullo se le assenze per malattia sono causate da comportamenti illeciti del datore di lavoro che hanno provocato stress o danni psicofisici al lavoratore (si veda sul punto, Corte d’appello di Milano, 30 luglio 2024, n. 365), applicando la tutela reintegratoria prevista dall’articolo 2 del dlgs 23/2015.
Fonte: SOLE24ORE