Dimissioni di fatto, ricostituzione del rapporto non automatica
- 18 Aprile 2025
- Pubblicazioni
Il ministero del Lavoro, con una nota del 10 aprile, ha risposto ad alcuni quesiti posti dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei consulenti del lavoro con una lettera del 2 aprile, in merito ad alcuni aspetti della nuova procedura di dimissioni per fatti concludenti prevista dal Collegato lavoro (legge 203/2024) e all’interpretazione che ne è stata data dalla circolare 6/2025 dello stesso Ministero. I consulenti del lavoro hanno chiesto anzitutto chiarimenti sull’affermazione contenuta nella circolare secondo cui il termine di 15 giorni di assenza ingiustificata, oltre il quale è possibile attivare la procedura di cessazione del rapporto di lavoro per volontà del dipendente, può essere modificato dal contratto collettivo nazionale solo allungandolo. Ritengono i consulenti che il legislatore abbia lasciato ampio margine alla contrattazione collettiva (nazionale) per definire il termine, adattandolo alle specifiche esigenze dei vari settori. Il Ministero risponde ribadendo la propria posizione, pur qualificandola come “prudenziale” e aprendo a possibili ripensamenti in seguito a diverse interpretazioni giurisprudenziali: la norma, secondo il Ministero, non consente alla contrattazione collettiva di stabilire un termine inferiore ai 15 giorni, in quanto la possibilità incondizionata di riduzione del termine sarebbe lesiva dell’esigenze di tutela del lavoratore. Le parti sociali potrebbero, afferma il Ministero, fissare una durata anche esigua dell’assenza ingiustificata che fa scattare la procedura, «tale da non porre il lavoratore in condizioni di giustificare tempestivamente le ragioni dell’assenza». Si tratta di considerazioni, caratterizzate da un certo grado di sfiducia nei contraenti collettivi, che non convincono. Per come è formulata la norma, la determinazione della durata dell’assenza ingiustificata che legittima l’attivazione della procedura è demandata (senza limitazioni) alla contrattazione collettiva nazionale, rispetto alla quale, come riconosce lo stesso Ministero, il termine legale di 15 giorni opera solo in via residuale. La scelta del legislatore può essere condivisa o meno, ma appare chiara nel senso di rimettere alla contrattazione collettiva la determinazione del termine che può far ritenere l’assenza ingiustificata una manifestazione della volontà del lavoratore di risolvere il rapporto di lavoro. Ogni altra considerazione rischia di sovrapporsi alla volontà espressa dal legislatore. Nè appare pertinente il richiamo, contenuto nella circolare 6/2025, a un generale principio di inderogabilità in pejus alle disposizioni di legge da parte della contrattazione collettiva, da tempo messo in crisi dalla presenza di innumerevoli disposizioni di rinvio che, in un’ottica di flessibilità, consentono ai contraenti collettivi di apportare modifiche, anche peggiorative, alle previsioni di legge. Gli altri chiarimenti forniti dal Ministero riguardano le conseguenze del mancato ripristino del rapporto di lavoro nel caso in cui il lavoratore offra la prova della impossibilità di comunicare i motivi dell’assenza, oppure nel caso in cui l’Ispettorato accerti l’insussistenza dei presupposti di legge per l’attivazione della procedura. Il Ministero, in questo caso correttamente, rileva che non operi alcuna automaticità nella ricostituzione del rapporto di lavoro, che potrà avvenire solo per iniziativa del datore di lavoro, il quale potrebbe non procedere in tal senso non ritenendo valide le ragioni del dipendente o le verifiche dell’Ispettorato. Ovviamente tale scelta potrà poi essere sindacata in via giudiziale. Quanto, infine, alla richiesta di chiarimento circa l’effetto di eventuali dimissioni per giusta causa comunicate dal lavoratore successivamente all’avvio della nuova procedura, la risposta del Ministero è di difficile comprensione. Dalla nota sembra di capire che qualora il lavoratore, successivamente all’avvio della nuova procedura «ma prima che la stessa abbia prodotto il suo effetto dismissivo», comunichi le dimissioni, saranno queste ultime a determinare la cessazione del rapporto. Fermo restando che la verifica della sussistenza di una eventuale giusta causa sarà oggetto di accertamento in giudizio, si tratta di una situazione che ben difficilmente nella pratica dovrebbe verificarsi, posto che, come si legge nella circolare 6/2025, «la cessazione del rapporto avrà effetti dalla data riportata nel modello Unilav, che non potrà comunque essere antecedente alla data di comunicazione dell’assenza del lavoratore», e quindi ben potrà coincidere con essa. Un ulteriore chiarimento non guasterebbe.
Fonte: SOLE24ORE