La tolleranza del datore di lavoro rispetto alla violazione del divieto di fumare in una determinata zona non è di per sé idonea ad escludere l'antigiuridicità della condotta assunta dal dipendente. A stabilirlo è la Corte di Cassazione, con l’ordinanza 24 marzo 2025 n. 7826. Una società che si occupa di trasporti e logistica integrata, operante in un aeroporto, aveva azionato un procedimento disciplinare nei confronti di un proprio dipendente, reo di aver fumato nei pressi della zona dell'aeroporto dove vengono movimentati gli aerei e le attrezzature per la manutenzione (c.d. “area air-side”), insieme ad una decina di colleghi: ciò, nonostante il divieto di fumo. Il procedimento disciplinare si era concluso con il licenziamento per giusta causa del dipendente che provvedeva ad impugnarlo giudizialmente. In primo ed in secondo grado il provvedimento espulsivo veniva dichiarato illegittimo con conseguente ordine di reintegrazione del lavoratore nel proprio posto di lavoro e condanna della società al pagamento in suo favore del risarcimento del danno, parametrato alle retribuzioni maturate dal dì del licenziamento a quello dell'effettiva reintegra, nella misura massima delle 12 mensilità, così come disposto dall'art. 3 c. 2 D.Lgs. 23/2015. In particolare, la Corte distrettuale, nel confermare la decisione di primo grado, dava pacificamente atto che (a) il lavoratore avesse fumato nella zona air-side, pur essendo consapevole del divieto di fumo, (b) in quella zona non vi fosse alcun cartello recante detto divieto e (c) tutti si recavano lì a fumare, compresi i diretti superiori, accertando che la società mai aveva adottato alcun provvedimento per far rispettare il divieto in questione. Alla luce di queste considerazioni, la Corte riteneva che la comprovata “tolleranza” da parte della società rispetto all'abitudine dei dipendenti di fumare in quella zona, dove non era neanche era apposto un cartello recante il divieto, fosse sintomatica di una valutazione di quella prassi come non illecita. La società soccombente si è così rivolta alla Corte di Cassazione, affidandosi a 8 motivi, a cui il lavoratore ha resistito con controricorso. La decisione della Corte di Cassazione. La Corte di Cassazione, nel formulare la sua decisione, considera dati pacifici l'esistenza del divieto di fumo in zona air-side, la sua conoscenza da parte dei dipendenti, incluso il lavoratore, e la sua violazione sia da parte sua che di numerosi colleghi. Sul punto, la Corte di Cassazione precisa che la tolleranza della società rispetto alla violazione del divieto di fumare in una determinata zona non è di per sé idonea ad escludere l'antigiuridicità della condotta, né dal punto di vista oggettivo né dal punto di vista soggettivo. In ipotesi di tolleranza di condotte illegittime non è sufficiente la mancata reazione del soggetto deputato al controllo a far venire meno l'illiceità della condotta; perché sia configurabile l'esclusione di responsabilità del trasgressore debbono ricorrere ulteriori elementi, capaci di ingenerare in lui l'incolpevole convinzione di liceità della condotta. Viene, altresì, sottolineato che per configurare l'elemento soggettivo dell'illecito è sufficiente la semplice colpa e per escludere la responsabilità è necessario che il trasgressore abbia compiuto tutto quanto possibile per osservare la legge e che nessun rimprovero gli possa essere mosso. L'errore deve, dunque, risultare incolpevole, ossia non evitabile usando l'ordinaria diligenza (cfr. Cass. 11253/2004). L'ignoranza incolpevole può derivare anche dal comportamento dell'organo preposto al controllo, purché venga verificato che l'affidamento, che esso ingenera, induca il privato a non avere alcuna incertezza sulla legittimità e liceità della propria condotta (cfr. Cass. 10477/2006). Nel caso di specie, secondo la Corte di Cassazione, i giudici di merito - considerata pacifica l'esistenza del divieto di fumo e la sua consapevolezza da parte del lavoratore - hanno commesso un errore nell'attribuire alla tolleranza datoriale l'effetto di escludere l'antigiuridicità della condotta dallo stesso assunta. In particolare, i giudici di merito non avrebbero indagato se vi fossero stati elementi ulteriori idonei a generare in lui la convinzione incolpevole della liceità della sua condotta né hanno verificato se avesse agito in buona fede, cercando di rispettare il divieto di fumo senza che gli potesse essere mosso alcun rimprovero, oppure se avesse unicamente profittato della mancata reazione della società fino a quel momento. La Corte di Cassazione conclude, quindi, per la cassazione della sentenza e il rinvio alla Corte distrettuale in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Fonte: QUOTIDIANO PIU' - GFL