Patto di non concorrenza e risarcimento del danno per lo storno di clientela
- 16 Aprile 2025
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Nel caso di ritenuta validità del patto di non concorrenza al lavoratore è inibita la possibilità di rendere la propria prestazione a favore della società concorrente e deve pagare le penali previste nel patto per la violazione dell’obbligo di informativa e per la violazione del divieto di concorrenza. La penale prevista non può essere ridotta ad equità ex articolo 1384 del Codice civile qualora l’importo non appaia manifestamente eccessivo rispetto al potenziale lucro cessante derivante dalla violazione del patto. Questi i principi statuiti dal Tribunale del Lavoro di Parma con la sentenza 132 del 26 febbraio 2025. La vicenda decisa riguardava il caso di un consulente finanziario che si era dimesso per operare a favore di altra Banca nonostante avesse stipulato con il precedente datore un patto di non concorrenza che gli vietava lo svolgimento – per un periodo di 12 mesi - di attività concorrenziale nella regione Emilia-Romagna e nelle province nel raggio di 250 chilometri, a fronte di un corrispettivo annuo di 10mila euro. Il consulente contestava la validità del patto di non concorrenza sotto numerosi profili, mentre la banca in via riconvenzionale chiedeva l’astensione dalla prosecuzione dell’attività concorrenziale e il pagamento della penale prevista per la violazione del patto (nella misura di 132.436 euro), nonché di quella prevista per l’inadempimento dell’obbligo di informativa (nella misura di 20mila euro). Il Giudice del Lavoro di Parma ha compiuto una ampia disamina del patto di non concorrenza, riconoscendone la validità in quanto l’estensione oggettiva dell’ambito dell’operatività dello stesso non era tale da rendere totalmente inutilizzabile l’intero bagaglio di competenze professionale del ricorrente, dato che permaneva in capo al lavoratore la possibilità di lavorare in settori affini a quello bancario, o anche nello stesso settore bancario, occupandosi di attività diverse dalla gestione di portafogli e di intermediazione finanziaria. Anche l’estensione territoriale è stata ritenuta legittima poiché la limitazione non era tale da impedire l’attività lavorativa al di fuori dell’Emilia Romagna e del raggio di 250 chilometri dalla sede di lavoro, tenuto conto anche del fatto che l’attività bancaria è praticata e diffusa in tutto il territorio nazionale. È stata poi esclusa l’invalidità del patto di non concorrenza in ragione della previsione di una facoltà di recesso unilaterale a favore del datore di lavoro. Ciò in quanto secondo la previsione contrattuale il recesso era esercitabile solo in costanza di rapporto e in tale evenienza sarebbe rimasta ferma l’acquisizione da parte del lavoratore del corrispettivo già percepito. Il tutto in contesto dove il recesso dal patto non avrebbe avuto efficacia immediata, ma differita di 9 mesi durante i quali il consulente avrebbe comunque continuato a percepire il corrispettivo. Il Giudice di Parma ha poi chiarito che quand’anche tale facoltà di recesso configurasse una nullità, questa non travolgerebbe l’intero patto ma solo tale clausola, trattandosi di condizione accessoria non determinante della stipula del patto stesso. Con riferimento al corrispettivo, Il Tribunale di Parma ne ha riconosciuto la congruità rispetto al sacrificio richiesto, ciò a maggior ragione considerato che il patto non prevedeva solo un compenso parametrato agli anni di sua vigenza, ma anche un minimo garantito pari a tre annualità del corrispettivo annuo da riconoscersi anche in caso di cessazione del rapporto prima della scadenza del triennio dalla stipulazione del patto. Con riferimento invece all’obbligo di informativa in merito alle attività lavorative successive, il Tribunale ha escluso la necessità di uno specifico corrispettivo in assenza di previsioni legali al riguardo. Ritenuta quindi la validità del patto e accertata, all’esito dell’istruttoria, la violazione del patto e dell’obbligo di informativa, il Giudice ha inibito l’ex consulente finanziario dallo svolgere attività lavorativa a favore del nuovo datore, condannandolo al pagamento delle penali previste dal patto e respingendo la domanda di riduzione a equità, poiché il lucro cessante potenziale derivante dalla violazione del divieto di concorrenza appariva notevolmente superiore all’ammontare della penale.
Fonte: SOLE24ORE