Revoca dimissioni telematiche: natura recettizia dell’atto e oneri probatori
- 17 Aprile 2025
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La normativa che ha previsto determinati oneri di forma e comunicazione per le dimissioni e la loro revoca (articolo 26 del Dlgs 151/2015) non è intervenuta a modificare la natura di tali atti come negozi unilaterali recettizi. Perché questi siano validi ed efficaci è richiesto il puntuale rispetto di specifiche procedure di trasmissione. In caso di contestazione del datore di lavoro circa la ricezione di tali comunicazioni l’onere della prova dell’integrale rispetto delle procedure incombe sul lavoratore. È questo uno dei principi ribaditi da una recente pronuncia della Corte d’appello di Napoli del 24 marzo 2025, n. 1136. Il caso, nello specifico, riguarda l’impugnazione da parte di un lavoratore di un asserito licenziamento orale con richiesta di reintegra in servizio. Il ricorrente, in primo grado, sosteneva di avere rassegnato le proprie dimissioni per giusta causa avvalendosi della procedura telematica di cui al Dlgs 151/2015 e poi di avere, nella medesima giornata, revocato le dimissioni stesse utilizzando sempre la procedura telematica prevista dalla legge. La società si costituiva in giudizio negando il licenziamento orale e sostenendo di avere ricevuto la comunicazione di dimissioni, ma di non avere mai avuto notizia dell’avvenuta revoca. Il Tribunale rigettava il ricorso del lavoratore valorizzando, tra le altre cose, la mancata prova della revoca delle dimissioni. Il lavoratore ricorreva allora in appello invocando l’erroneità della sentenza laddove non aveva ritenuto provata la revoca delle dimissioni nonostante la produzione, agli atti del giudizio, della ricevuta rilasciata dal ministero del Lavoro. Asseriva, poi, come non fosse suo onere fornire la prova della notifica della revoca poiché a ciò avrebbe dovuto provvedere direttamente il Ministero. La Corte d’appello ha respinto il gravame affermando che:
a) il lavoratore non aveva in alcun modo provato, come era suo onere, la sussistenza di un provvedimento espulsivo orale comminato dalla Società e, già solo per tale motivo, non poteva invocare la tutela reintegratoria;
b) il rapporto di lavoro era cessato per le dimissioni rassegnate dal lavoratore e correttamente pervenute alla società, dimissioni pienamente efficaci e non revocate stante la mancata prova della ricezione da parte del datore di lavoro della successiva comunicazione di revoca.
In particolare - confermando gli approdi cui era già giunta la pronuncia di primo grado - la Corte ha ribadito che, secondo quanto previsto dall’articolo 26 del Dlgs 151/2015 le dimissioni (e la risoluzione consensuale) sono fatte, a pena di inefficacia, esclusivamente con modalità telematiche su moduli resi disponibili dal ministero del Lavoro attraverso l’utilizzo di un apposito portale; i moduli sono poi trasmessi al datore di lavoro e alla Dtl competente con le modalità individuate con decreto del ministro del Lavoro. Entro sette giorni dalla data di trasmissione del modulo il lavoratore ha la facoltà di revocare le dimissioni (e la risoluzione consensuale) adottando le medesime modalità. La procedura telematica, nella sua disciplina di dettaglio, è regolata dal Dm 15 dicembre 2015. Il Decreto in parola, non mutando la natura di negozi unilaterali recettizi di tali atti, impone al lavoratore l’onere di inviare i moduli (di dimissioni/risoluzione consensuale e revoca), oltre che alla Dtl, anche al datore di lavoro. Da ciò discende che, a fronte della contestazione datoriale circa il mancato ricevimento della comunicazione di revoca delle dimissioni, era specifico onere del lavoratore dare prova del completamento della procedura di revoca mediante l’invio al datore di lavoro. Tale prova non solo non era stata fornita nel giudizio di primo grado, ma neppure in appello dal momento che il ricorrente non aveva mai prodotto la comunicazione pec attestante l’avvenuta notifica della revoca delle dimissioni.
Fonte: SOLE24ORE