L'art. 5 della Direttiva 2001/23/CE consente alle imprese in liquidazione di cedere l'attività, in deroga alle tutele per i lavoratori previste dagli artt. 3 e 4. La CGUE ha spiegato a quali condizioni la norma può applicarsi ai casi in cui la cessione viene predisposta prima della dichiarazione di fallimento (cd. cessione "pre-pack"). Il caso trae origine dal fallimento di una società belga, preceduto da una procedura di riorganizzazione giudiziale avviata nel luglio 2020 su richiesta della stessa impresa, con lo scopo di ristrutturare e salvare parte delle sue attività. In tale contesto, tre commissari giudiziali erano stati incaricati dal Tribunale delle imprese di Gand di organizzare il trasferimento totale o parziale delle suddette attività societarie. Nel settembre 2020 i commissari accettavano l'offerta di rilevamento presentata dalla casa madre olandese, relativa a 36 negozi e 183 lavoratori (su un totale di 439). Veniva costituita una nuova società, destinata a subentrare nella gestione di quei negozi. Tuttavia, l'8 ottobre 2020 il tribunale rifiutava l'omologazione dell'accordo, ritenendolo lesivo dei diritti dei lavoratori. Lo stesso giorno, veniva dichiarato il fallimento della società e i commissari assumevano il ruolo di curatori. Il successivo 9 ottobre veniva comunque ceduta parte degli attivi alla nuova società, la quale riassumeva 183 lavoratori. I rimanenti 256 lavoratori, esclusi dal nuovo assetto, intentavano allora causa sostenendo che la procedura di licenziamento collettivo era stata adottata senza il previo rispetto degli obblighi di informazione e consultazione previsti dalla normativa belga e dalla dir. 2001/23 CE. Il giudice belga sollevava questione pregiudiziale dinanzi alla CGUE, chiedendo se fosse applicabile la deroga dell'art. 5 par. 1 dir. 2001/23/CE – disposizione che, in presenza di una procedura fallimentare o analoga, aperta in vista della liquidazione dei beni del cedente e soggetta al controllo di un'autorità pubblica competente, consente di non applicare le tutele previste dagli artt. 3 e 4 della direttiva, i quali prevedono, rispettivamente, che il cessionario subentri nei diritti e negli obblighi derivanti dai contratti e dai rapporti di lavoro in essere alla data del trasferimento e che il trasferimento d'impresa non costituisca, di per sé, un motivo legittimo di licenziamento – nel caso di una cessione “pre-pack”, predisposta prima della dichiarazione di fallimento ma realizzata subito dopo, e in assenza di una normativa nazionale che regolasse tale procedura. Nel rispondere al quesito pregiudiziale sottoposto dal Tribunale del lavoro di Liegi, la CGUE si è soffermata sull'interpretazione dell'art. 5 par. 1 dir. 2001/23/CE, chiarendo in quali casi possa essere legittimamente esclusa l'applicazione dei suoi artt. 3 e 4 nei trasferimenti d'impresa che avvengano nel contesto di una procedura di insolvenza. In particolare, la CGUE ribadisce che tale disposizione costituisce una deroga al principio fondamentale di tutela dei lavoratori nel cambio di datore , e perciò deve essere interpretata in maniera restrittiva. Secondo la CGUE, affinché la deroga possa operare, devono ricorrere tre condizioni, tra loro cumulative. In primo luogo, il cedente dev'essere oggetto di una procedura fallimentare o di una procedura d'insolvenza analoga. Una semplice fase preparatoria o una procedura di riorganizzazione giudiziale, come quella prevista dal diritto belga, non è di per sé sufficiente: si tratta infatti di un meccanismo che mira a salvaguardare la continuità dell'impresa, e non a liquidarne il patrimonio. Tuttavia, osserva la CGUE, qualora un trasferimento venga predisposto nell'ambito di una riorganizzazione e poi realizzato immediatamente dopo la dichiarazione di fallimento, è possibile che l'intera sequenza – riorganizzazione e fallimento – debba essere considerata come un'unica operazione ai fini dell'applicazione dell'art. 5. Sarà il giudice nazionale, caso per caso, a dover accertare se tale continuità esiste effettivamente, se la procedura era sin dall'origine volta alla liquidazione, e se il fallimento non rappresenta un avvenimento eventuale ma una conseguenza logica e necessaria della situazione d'insolvenza. La seconda condizione riguarda la finalità della procedura, che deve essere apertamente indirizzata alla liquidazione dei beni del cedente. La CGUE distingue nettamente tra i procedimenti che hanno come obiettivo principale la prosecuzione dell'attività – e quindi la tutela dell'impresa – e quelli che invece mirano alla massimizzazione del ricavato in favore dei creditori. Solo questi ultimi possono giustificare la disapplicazione del regime protettivo ordinario previsto dalla direttiva. Anche in questo caso spetterà al giudice nazionale verificare se, nella concreta attuazione del trasferimento, si sia effettivamente perseguito l'interesse della massa dei creditori oppure se si sia invece privilegiata la continuità aziendale a scapito dei diritti dei lavoratori. La terza condizione richiesta dall'art. 5 par. 1, è che la procedura si svolga sotto il controllo di un'autorità pubblica competente. Non basta, al riguardo, un controllo formale o meramente rituale: l'autorità – normalmente un giudice – deve essere coinvolta in modo sostanziale nell'intero iter, esercitando un effettivo potere di vigilanza e indirizzo. La CGUE ricorda che tale controllo si ritiene sussistente solo se il giudice definisce le funzioni dei commissari o dei curatori, esercita una supervisione sull'attuazione del piano e conserva la facoltà di intervenire per impedire deviazioni o abusi. La presenza di strumenti giuridici di controllo, responsabilità e opposizione è decisiva per accertare il rispetto di tale requisito. Accanto a questi tre presupposti formali, viene introdotto un ulteriore profilo sostanziale, richiamando il par. 4 dello stesso art. 5 della direttiva. Secondo tale disposizione, gli Stati membri sono tenuti ad adottare misure idonee ad evitare che l'utilizzo delle procedure di insolvenza possa trasformarsi in un mezzo per eludere i diritti riconosciuti ai lavoratori. Pertanto, anche qualora le condizioni formali risultino soddisfatte, occorre comunque accertare l'assenza di un intento abusivo o elusivo. Nel caso di specie, la CGUE ha segnalato alcuni elementi che potrebbero far dubitare della buona fede dell'operazione, come il fatto che la società acquirente fosse stata appositamente costituita dalla capogruppo per subentrare selettivamente nell'attività della fallita, o l'assenza di una reale ricerca di offerte alternative. Ancora una volta, la valutazione di tali circostanze è rimessa al giudice del rinvio. In conclusione, viene confermato che l'art. 5 par. 1 dir. 2001/23/CE può essere applicato anche in presenza di un trasferimento predisposto durante una procedura di riorganizzazione giudiziale e attuato subito dopo la dichiarazione di fallimento, ma solo se tale trasferimento è parte di una procedura effettivamente destinata alla liquidazione del cedente, svolta sotto il controllo di un'autorità pubblica competente e non utilizzata in modo abusivo per privare i lavoratori delle tutele previste dalla direttiva.
Fonte: QUOTIDIANO PIU' - GFL