Il lavoratore può criticare in veridicità e correttezza

Il lavoratore può criticare in veridicità e correttezza

  • 29 Agosto 2022
  • Pubblicazioni
Il diritto di critica del lavoratore nei confronti del datore di lavoro è legittimo, purché sia esercitato nei limiti della continenza formale e sostanziale. È il principio ribadito dalla Cassazione penale nella sentenza 17784/2022. Il diritto di critica del lavoratore nei confronti del proprio datore di lavoro è sancito nella nostra Costituzione (articolo 21) e nello Statuto dei Lavoratori (articolo 1 della legge 300/1970). L’esercizio del diritto di critica, tuttavia, incontra alcuni limiti quali il diritto del datore di lavoro alla tutela del proprio onore e della propria reputazione, nonché il limite costituito dall’articolo 2105 del Codice civile, che sancisce l’obbligo di fedeltà del dipendente. A sostegno della propria decisione la Cassazione ha posto l’orientamento, ormai maggioritario, secondo cui il diritto di critica deve ritenersi legittimo se viene esercitato nei limiti della continenza formale e sostanziale. Per non cadere quindi nell’illegittimità dell’esercizio di tale diritto, da un punto di vista sostanziale i fatti narrati dal lavoratore dovranno sempre rispondere ai criteri della veridicità, mentre, da un punto di vista meramente formale, l’esposizione del racconto dovrà avvenire senza mai travalicare i parametri della correttezza, del decoro e della pertinenza. Questi “confini” individuati inizialmente in tema di cronaca giornalistica, hanno poi, negli anni, trovato applicazione anche nei rapporti di lavoro. Laddove i limiti sopra descritti siano travalicati, il lavoratore può rischiare il licenziamento per giusta causa, per lesione del vincolo fiduciario, e arrivare a rischiare di incappare nel reato di diffamazione