Legittimo il licenziamento del lavoratore che bacia la collega

Legittimo il licenziamento del lavoratore che bacia la collega

  • 28 Marzo 2025
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La sentenza della Corte d’appello di Torino 150/2025 del 17 marzo è di particolare interesse perché ha, innanzitutto, ritenuto legittimo il licenziamento per giusta causa del dipendente che, durante un rinfresco tenutosi sul luogo di lavoro per il pensionamento di un collega, ha abbracciato e baciato sulla bocca una collega contro la sua volontà e proferito nei suoi confronti apprezzamenti non consoni o, comunque, non graditi. Per la Corte, tale condotta integra l’ipotesi tipica della molestia sessuale, secondo l’articolo 26, comma 2, del Dlgs 198/2006 che, nella prospettiva del datore di lavoro, è condotta certamente idonea a ledere il vincolo fiduciario e a legittimare il recesso per giusta causa. La pronuncia merita particolare attenzione anche laddove afferma che nel processo civile la deposizione, in qualità di teste, della persona che denuncia la molestia è di per sé sufficiente quale prova dell’accadimento storico del fatto denunciato senza necessità che, come accade nel procedimento penale, la testimonianza della persona offesa trovi anche una qualche corroborazione esterna. Infine, la sentenza è di interesse per le modalità con cui analizza e valuta la rilevanza o meno della condotta posta in essere da chi denuncia una molestia successivamente all’immediato accadimento dei fatti denunciati. A tale riguardo la Corte rileva che il comportamento che una vittima di molestie a sfondo sessuale possa tenere dopo il loro accadimento – e, nella fattispecie, non avere subito chiesto aiuto al personale di sorveglianza, avere avvisato qualche giorno dopo invece che nell’immediato, avere ulteriormente tollerato l’atteggiamento del collega, essere rimasta ancora pochi minuti sola con lui, eccetera – non può riverberarsi retrospettivamente sulla (e inficiare la) veridicità dell’evento presupposto quand’esso sia stato confermato testimonialmente; se non a pena, per le persone coinvolte in episodi del genere, di non essere pregiudizialmente credute, come ancora diffusamente accade a quante rimangono oggetto di attenzioni sessuali indesiderate. In questi delicati contesti, prosegue la Corte, l’atteggiamento susseguente non interferisce di per sé con la verosimiglianza del fatto che lo precede: una persona molestata – se non immaginando, inammissibilmente, l’esistenza in tal senso di una contegno post-evento tipico e “ideale” – può avere mille ragioni per non attivarsi contro il molestatore e per non denunciarlo penalmente, fosse solo per banale tolleranza o per evitare ulteriori noie o per non sopportare il rischio, appunto, di non essere creduta; ma questo, da solo, non costituisce per nulla elemento escludente la verità della molestia patita.

Fonte: SOLE24ORE